La Nuova Sardegna

L'intervista

Lucrezia Lante della Rovere: «Mia madre mi ha insegnato a essere libera, oggi i genitori sono troppo asfissianti»

di Alessandro Pirina
Lucrezia Lante della Rovere: «Mia madre mi ha insegnato a essere libera, oggi i genitori sono troppo asfissianti»

L'attrice in tournée in Sardegna con "Non si fa così": «Il teatro mi ha dato modo di esprimermi»

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Le passerelle sono state il primo palcoscenico, il cinema l’ha scoperta e l’ha fatta conoscere al grande pubblico, il teatro l’ha consacrata. Lucrezia Lante della Rovere arriva in Sardegna con “Non si fa così”, uno spettacolo sull’amore e sulla vita di coppia: al suo fianco Arcangelo Iannace, per la regia di Francesco Zecca. Una tournée sotto le insegne del Cedac che farà tappa mercoledì a Sanluri, giovedì a Oristano, venerdì a Macomer, sabato a Lanusei, domenica a Dorgali e lunedì ad Arzachena.

Lucrezia bambina come si immaginava da grande?
«Io da bambina non mi immaginavo, sognavo solo di andarmene. Ero una scappata di casa, non stavo bene nella mia famiglia. E quando mi chiedevano “cosa vuoi fare da grande?” mi veniva una angoscia tremenda. Non è detto che tutti nasciamo con un talento riconosciuto, spesso il tormento dei bambini è proprio quello di capire la propria strada. E io ero una bambina tormentata che non sapeva cosa volesse fare. Per fortuna ho iniziato a lavorare presto, a guadagnare subito, prima nella moda e poi grazie a Mario Monicelli è arrivato il cinema. La vita è fatta anche di colpi di fortuna».

Modella a 15 anni: cosa prova quando ripensa a quella ragazzina?
«Penso al fatto che venivo da una famiglia che mi spronava alla indipendenza. Cosa che non si fa adesso. Oggi vedo genitori molto, troppo attenti, psicologi, protettivi. Una cosa asfissiante. Io forse ero anche fin troppo libera, catapultata fuori dalla famiglia, ma oggi i ragazzi sono talmente protetti che non sanno cosa sia soffrire, sono come anestetizzati. Io sono vissuta in un’epoca in cui mia madre mi diceva mettiti un carciofo in testa e inventati qualcosa. Da ragazza mi lamentavo, ero spaventata, ma quel brivido mi ha anche temprata, dato carattere e la forza di affrontare la vita».

Essere figlia di Marina Ripa di Meana era faticoso?
«Quando ero giovane significava avere una madre ingombrante, con cui ero in conflitto perenne. Come spesso accade con le madri a quell’età. Fondamentalmente lei non era capace di fare la mamma. Ma era una donna speciale. Mi piace rivederla con gli occhi di adulta, di nonna, e penso anche che il risultato di quella che sono io, il mio carattere, sia un dono dato dalla donna che è stata mia madre. Che non aveva il dono di fare la mamma, ma di essere una donna fuori dal comune, autonoma, coraggiosa. Inconsapevolmente è stata anche una grande femminista: ha divorziato, si è scelta gli uomini che voleva, ha vissuto la vita come le pareva, non si è mai fatta condizionare da niente e da nessuno».

Primo set “Speriamo che si femmina” di Monicelli con Catherine Deneuve, Liv Ullmann, Stefania Sandrelli, Giuliana De Sio: il suo rapporto con le star?
«Ero in modalità spugna, sempre pronta ad assorbire e cercare di capire come funzionasse. Affascinata dal talento di queste donne, ognuna aveva un suo ruolo che diventava questa cosa magica che era il film. Sapevo di fare parte anche io di questo meccanismo, ma non avevo idea se sarebbe diventato il mio lavoro. Ho vissuto quel set con il distacco dell’incoscienza».

Dopo Monicelli sono arrivati De Sisti, Avati, Vanzina, Quartullo, Magni: quando ha capito che non era più la “figlia di” ma una attrice a tutti gli effetti?
«Figlia di Marina lo sono sempre. Anche l’altro giorno ero da Myrta Merlino e hanno mandato un servizio su mia madre il giorno della festa del papà. Marina ancora c’è. Quanto a me forse la grande popolarità è arrivata a 40 anni con una serie Rai, “Donna detective”, ma sinceramente io non mi sono mai posta il problema, perché io sono una figlia d’arte sui generis. Mia madre era una donna molto popolare, ma non era un’attrice. Non c’era proprio il paragone».

Ha rimpianti nella carriera?
«No».

Renato Zero la volle a condurre con lui in televisione.
«Più che conduttori eravamo imbarcati nella sua nave di fantasia. Io ero la sua musa ispiratrice, eravamo dei personaggi teatrali. Ci siamo molto divertiti. C’erano anche Paolo Bonacelli e Dodi Conti, che da allora è la mia migliore amica. Anche Renato è rimasto un pezzo di cuore: una persona straordinaria, generosa, di grande umanità. Non ci sentiamo, ma quando ci rivediamo è come se fossimo stati insieme il giorno prima».

Cosa è per lei il teatro?
«La mia passione, il luogo a cui ho dedicato tanto del mio tempo. È il mio modo di esprimermi. È molto gratificante trovare un modo di esprimersi nella vita e io l’ho trovato nel teatro, dove riesco a raccontarmi meglio che in una intervista (ride, ndr). Attraverso i personaggi, i testi che scegli si raccontano anche tante cose intime. E tante persone vengono a vederti. A teatro c’è una ritualità molto bella. Come in chiesa. Il prete parla della vita di Cristo, noi raccontiamo la storia dell’umanità».

“Non si fa così” è una riflessione sulla vita di coppia.
«È una commedia che parte da un assunto tragico, ma mentre le coppie nella realtà scoppiano, questa, attraverso il litigio, il dialogo, il confronto, riesce a rimettere tutto in discussione per riuscire a trovare una via d’uscita a un matrimonio un po’ arenato. Francesca e Giulio mettono in campo diversi strumenti per arrivare a una soluzione di fuga, perché vogliono sentirsi vivi, amati dalla vita. Che è quello che cerca ognuno di noi».

Si rivede in Francesca?
«Lei vive una relazione trentennale di matrimonio, cosa che io non sono mai riuscita a fare: sono stata più incostante. Ma sono io che porto a Francesca il mio carattere, la mia personalità, la mia verve. Sono io che ho cercato di avvicinarmi a lei».

Quanta Sardegna c’è nella sua vita?
«La Sardegna è quand’ero piccola: tante foto, quadri di Franco Angeli con cui mia madre ha condiviso un pezzo di vita. Dipinti che mi ritraggono al mare, o nelle case che affittavamo. Ero bambina e non ho ricordi netti, ma quelle immagini e quei quadri fanno sì che un pezzo di Sardegna riemerga dal passato».

È diventata mamma giovanissima, e ora anche nonna. Cosa racconterà ai suoi nipoti della loro bisnonna?
«Ancora sono molto piccoli, ma prima dovrò ricordare bene alle mie figlie chi era la loro nonna, che non era quella classica del pranzo della domenica».
 

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