Il paradossale rapporto tra religione e crimine
L’uso strumentale della fede: da sempre le mafie nostrane dedicano una cura particolare alla religione cattolica
«Possa la mia carne bruciare come questo santino se non manterrò fede al giuramento». Questa inquietante frase è la cosiddetta “punciuta”, dal siciliano “puntura”, con la quale si avvia il rito di iniziazione delle mafie. Consiste nel pungersi il polpastrello dell’indice della mano usata per premere il grilletto della pistola, il sangue viene fatto colare su un immagine sacra che poi viene bruciata. Per quanto può sembrare paradossale, tra Cosa nostra (organizzazione sanguinaria) e religione (fede fondata sull’amore verso il prossimo) c’è un grande legame. Infatti, da sempre, le mafie nostrane dedicano una cura particolare alla religione cattolica.
Ma da cosa nasce questa “fede”? Secondo alcuni sociologi lo scopo è quello strumentale perché questo consentirebbe ai boss di essere “accreditati” nella comunità. Chi mai penserebbe che tra gli organizzatori di una processione ci possa essere uno dei più spietati assassini? Ed infatti a Catania, per la festa di sant’Agata, è stato proprio il nipote del boss Santapaola a dar vita alla cerimonia. Sognava di fare il prete, ma è finito per essere uno dei criminali più spietati della storia Italiana. A lui si riconducono quasi 500 omicidi, tra i quali anche la strage di Capaci. Secondo altri invece la mafia cerca, nella religione, la potenza che si guadagna nel dipingersi alla pari, se non addirittura superiore, a questa. Della prima espressa condanna della mafia fu protagonista padre Pino Puglisi, colui che perse la vita ucciso dalla mafia. Padre Puglisi fu assassinato il giorno del suo cinquantesimo compleanno. Una vita breve che si è conclusa troppo velocemente e sicuramente in modo tragico, ma una vita di un combattente. Egli dedicò tutto il suo tempo al quartiere di Brancaccio, a Palermo, indirizzando i giovani verso la scuola, luogo dove, secondo la sua convinzione si sarebbero lasciati alle spalle l’interesse per la criminalità. Sicuramente il suo operato non cambiò la mentalità di chi criminale lo era già, ma diede un esempio ai suoi fratelli, mettendo in luce una realtà scomoda che si preferiva tenere nascosta.
Anche quando le forze dell’ordine fecero irruzione nel covo del boss Pietro Aglieri (uno dei mandanti per le stragi di Capaci e di via D’Amelio) trovarono una cappella privata: panche, altarino, due statue, in gesso, della Madonna e di Cristo. Si distingue, in questo atteggiamento contraddittorio, il boss Matteo Messina Denaro il quale non ha mai dimostrato vicinanza alla religione. Infatti in alcuni suoi appunti ritrovati risalenti al 2013, affermava che le celebrazioni religiose erano fatte solo da uomini immondi che vivono nell’odio e nel peccato. Un intreccio tra fede, vera o presunta, e crimine che dura, inspiegabilmente, nei secoli.
*Federica è una studentessa del Liceo G. Spano, Sassari