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Quasimodo è infelice: cerca di convincersi che non gli pesa la rinuncia agli studi tanto amati

di Riccardo Morini*
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Lo studente del liceo Canopoleno di Sassari ha voluto parlare dei condizionamenti nelle scelte universitarie attraverso questo delicato racconto

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Quella sera pioveva. S'erano abbassate le temperature a picco, e i meteorologi sostenevano che si sarebbero mantenute tali. Guardava le gocce correre sui vetri. «Quale arriverà prima?». Quasimodo si poneva questa domanda. A lui non interessavano la politica, lo sport, non gli interessavano le lezioni del professor Lombardo, non gli interessava neppure il rischio che gravava sul suo percorso di studi universitari. Poggiate sul libro di chimica le mani, Quasimodo si chiedeva quale goccia sarebbe arrivata per prima sul davanzale, una volta terminata la sua corsa sul vetro. Gli piaceva la pioggia: il modo in cui si infrangeva sui marciapiedi di via Cavour, in cui si aggiungeva all'acqua che scorreva nel canale che osservava dalla sua soffitta. Ma più di tutto gli piaceva come lo faceva sentire: con la pioggia defluivano i problemi, i brusii quotidiani che gli pungevano il ventre. In esso, sotto le nubi cariche, rimaneva una pacata quieta malinconia, ostetrica di neonati pensieri. Forse non neonati, ma da quel sentimento, dalla pioggia, risvegliati e canalizzati.

Quella sera essa condusse Quasimodo alle seguenti domande: può un uomo provare compassione verso sé stesso? Cosa se ne cava un individuo a costruire il proprio futuro in un dato modo solamente per soddisfare gli altri? «Ma infondo a me che cambia, va bene così» si rispose da solo ad alta voce. Strideva come un gesso sulla lavagna quella tanto triste quanto falsa confessione. Lo rivelano d'altronde le prime due domande. Vero è invece che Quasimodo conservava in sé la tenue e resistente fiamma per gli interessi umanistici, la volontà di fare della sua vita quella di un intellettuale di rilievo, di un filosofo, di un letterato. Fuoco un tempo divampante, alimentato dalle grandi letture dei più vari autori, dagli scrittori russi ai classici latini, ora divenuto fievole, residuo di un desiderio sacrificato alla volontà altrui: si era detto, cercando fatuamente di convincersene, di non avere il tempo per coltivare i suoi interessi letterari, di dover concentrare tutte le sue energie sulla chimica, poiché questo volevano i suoi genitori. O forse ancora riporre su una mensola questa sua passione fu una scelta motivata dalla paura, conscia o inconscia, di venir deviato da essa dal percorso di studi da lui intrapreso, dalla famiglia deciso?

Non mi è dato saperlo, ma il sottoscritto, il gentile lettore, la gentile lettrice, possono farsi una più o meno sfumata idea di come realmente stiano le cose.

 

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