Casa di riposo, l’imputata: «Non potevo fare tutto io»
di Kety Sanna
Udienza in Corte d’assise del processo per gli abusi sugli anziani di via Aosta. L’infermiera: «Gli ospiti venivano svegliati alle 5 del mattino, igiene scarsa»
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NUORO. «Ma cosa avrei dovuto fare? Ognuno di noi, all’interno della struttura, aveva un ruolo specifico e il personale era qualificato. Io non potevo ricoprire tutte le mansioni, ero la coordinatrice e i familiari degli ospiti parlavano con me. Ricordo che l’aspetto non facilmente gestibile era quello dell’abbigliamento degli anziani che a volte si lamentavano con i parenti perché indossavano cose non loro. Non potevo certo vigilare sulla biancheria né potevo sapere che nella stanza della signora Mele, la notte che si è suicidata, c’era una sedia, nonostante dopo il primo tentativo di suicidio, si fosse deciso di rafforzare la sorveglianza e le misure di sicurezza. Per questo c’erano gli operatori».
L’udienza A fine mattinata, i toni si sono infuocati nell’aula della Corte d’assise di Nuoro, durante l’udienza del processo della casa di riposo Residenza Familia di via Aosta, che vede imputati la direttrice Rosanna Serra (difesa dall’avvocato Francesco Lai) e il responsabile della struttura Gianluigi Masala (assistito dall’avvocato Francesco Carboni), accusati dei reati che vanno dai maltrattamenti all’esercizio abusivo della professione, dall’abbandono di incapace alle lesioni gravi fino all’omicidio colposo. L’imputata ha risposto così alle domande del pm Giorgio Bocciarelli durante il contro esame davanti al presidente Giorgio Cannas, a latere Antonella Useli Bacchitta, e alla giuria popolare.
«Non capisco chi realmente dirigesse la struttura – ha incalzato l’accusa – e se lamentele ci sono state da parte degli ospiti, perchè nessuno ha cercato di farvi fronte».
L’imputata Rosanna Serra ha raccontato alla Corte di una struttura sana nata nel 2012 per volere suo e del responsabile Masala, per offrire un nuovo servizio alla città. «Io coordinavo e selezionavo il personale. La struttura era nata per accogliere persone che non avevano necessità di assistenza continua. Avevamo aperto nell’agosto 2012 con 3 ospiti che poi sono aumentati – ha detto –. Nel gennaio 2013 ero stata contattata dal vescovo Marcia che mi chiedeva se potevo ospitare momentaneamente gli anziani della struttura del Sacro Cuore. Doveva essere una cosa temporanea ma si è protratta per diversi mesi. La nostra fonte economica era data dalle rette mensili degli ospiti. Per il menù facevamo riferimento a un servizio di catering e le porzioni erano sempre abbondanti, tant’è che bastavano anche per gli operatori. L’igiene – ha aggiunto Serra – veniva garantita. Certo è che i rapporti con alcuni operatori della struttura sono cambiati dopo che li avevo ripresi per alcuni comportamenti inadeguati per il ruolo che rivestivano».
La testimone Ieri è stata sentita anche Antonella Biagio, infermiera professionale, che aveva prestato attività nella casa di riposo di via Aosta. «Il mio rapporto di lavoro, non era mai stato inquadrato – ha detto la donna rispondendo alle domande del pm – Avevo iniziato come volontaria e mi veniva rilasciato un assegno di rimborso. Tra gli ospiti della struttura c’era anche mio padre che arrivò nella Residenza nel 2012, quando ancora venivano gestiti una decina di anziani da: un’infermiera, tre operatori socio sanitari, un educatore e il personale che si occupava della pulizia della struttura. Nell’aprile 2013 la situazione era cambiata: si era arrivati a contare 40 ospiti, gestiti però dallo stesso personale. La dirigente aveva iniziato a sentire diverse persone, è allora che ho cominciato a lavorare. La situazione però era critica. I pazienti – ha aggiunto Antonella Biagio – venivano svegliati all’alba per far sì che fossero pronti al momento del cambio turno. La mattina c’era sempre un odore terribile di urine e feci anche se, dal terzo piano dov’era la zona notte, gli anziani venivano portati al piano superiore dove trascorrevano la giornata. Mio padre, col Parkinson, aveva iniziato a lamentarsi solo dopo l’arrivo degli altri ospiti. Mi colpiva – ha continuano la teste – il fatto che gli abiti degli utenti venissero lavati tutti insieme. Nel momento in cui avevo iniziato a lavorare non avevo mai trovato medicinali scaduti. Decisi di portare via mio padre ai primi di luglio del 2015 dopo che uno degli operatori, Antonio Pireddu, lo aveva colpito alla mano e ferito a un orecchio. Mi lamentai con la direttrice. Quella stessa sera decisi di portarlo via. Qualche giorno dopo cessò anche il mio rapporto di lavoro».
L’udienza A fine mattinata, i toni si sono infuocati nell’aula della Corte d’assise di Nuoro, durante l’udienza del processo della casa di riposo Residenza Familia di via Aosta, che vede imputati la direttrice Rosanna Serra (difesa dall’avvocato Francesco Lai) e il responsabile della struttura Gianluigi Masala (assistito dall’avvocato Francesco Carboni), accusati dei reati che vanno dai maltrattamenti all’esercizio abusivo della professione, dall’abbandono di incapace alle lesioni gravi fino all’omicidio colposo. L’imputata ha risposto così alle domande del pm Giorgio Bocciarelli durante il contro esame davanti al presidente Giorgio Cannas, a latere Antonella Useli Bacchitta, e alla giuria popolare.
«Non capisco chi realmente dirigesse la struttura – ha incalzato l’accusa – e se lamentele ci sono state da parte degli ospiti, perchè nessuno ha cercato di farvi fronte».
L’imputata Rosanna Serra ha raccontato alla Corte di una struttura sana nata nel 2012 per volere suo e del responsabile Masala, per offrire un nuovo servizio alla città. «Io coordinavo e selezionavo il personale. La struttura era nata per accogliere persone che non avevano necessità di assistenza continua. Avevamo aperto nell’agosto 2012 con 3 ospiti che poi sono aumentati – ha detto –. Nel gennaio 2013 ero stata contattata dal vescovo Marcia che mi chiedeva se potevo ospitare momentaneamente gli anziani della struttura del Sacro Cuore. Doveva essere una cosa temporanea ma si è protratta per diversi mesi. La nostra fonte economica era data dalle rette mensili degli ospiti. Per il menù facevamo riferimento a un servizio di catering e le porzioni erano sempre abbondanti, tant’è che bastavano anche per gli operatori. L’igiene – ha aggiunto Serra – veniva garantita. Certo è che i rapporti con alcuni operatori della struttura sono cambiati dopo che li avevo ripresi per alcuni comportamenti inadeguati per il ruolo che rivestivano».
La testimone Ieri è stata sentita anche Antonella Biagio, infermiera professionale, che aveva prestato attività nella casa di riposo di via Aosta. «Il mio rapporto di lavoro, non era mai stato inquadrato – ha detto la donna rispondendo alle domande del pm – Avevo iniziato come volontaria e mi veniva rilasciato un assegno di rimborso. Tra gli ospiti della struttura c’era anche mio padre che arrivò nella Residenza nel 2012, quando ancora venivano gestiti una decina di anziani da: un’infermiera, tre operatori socio sanitari, un educatore e il personale che si occupava della pulizia della struttura. Nell’aprile 2013 la situazione era cambiata: si era arrivati a contare 40 ospiti, gestiti però dallo stesso personale. La dirigente aveva iniziato a sentire diverse persone, è allora che ho cominciato a lavorare. La situazione però era critica. I pazienti – ha aggiunto Antonella Biagio – venivano svegliati all’alba per far sì che fossero pronti al momento del cambio turno. La mattina c’era sempre un odore terribile di urine e feci anche se, dal terzo piano dov’era la zona notte, gli anziani venivano portati al piano superiore dove trascorrevano la giornata. Mio padre, col Parkinson, aveva iniziato a lamentarsi solo dopo l’arrivo degli altri ospiti. Mi colpiva – ha continuano la teste – il fatto che gli abiti degli utenti venissero lavati tutti insieme. Nel momento in cui avevo iniziato a lavorare non avevo mai trovato medicinali scaduti. Decisi di portare via mio padre ai primi di luglio del 2015 dopo che uno degli operatori, Antonio Pireddu, lo aveva colpito alla mano e ferito a un orecchio. Mi lamentai con la direttrice. Quella stessa sera decisi di portarlo via. Qualche giorno dopo cessò anche il mio rapporto di lavoro».