La Nuova Sardegna

Olbia

Sanità malata

«L’odissea vissuta da mio padre, l’ospedale di Olbia è al collasso»


	L'ingresso del pronto soccorso del Giovanni Paolo II
L'ingresso del pronto soccorso del Giovanni Paolo II

Parla una donna di Arzachena: «Un inferno che dura da due anni. Avanti e indietro mentre continuava a peggiorare»

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Olbia. «Una sanità disastrosa, un sistema pieno di falle e una burocrazia lumaca, a causa della quale non abbiamo avuto risposte per ottenere una visita che confermi l’invalidità. In questo triste panorama c’è a l’odissea vissuta da mio padre, da circa due anni, tra diagnosi incerte, visite a pagamento, corse continue all’ospedale, ricoveri, dimissioni e trasferimenti a Sassari». Maria, una giovane donna di Arzachena, non ce la fa più a stare in silenzio e parla senza fermarsi tra dolore e amarezza.

ll Covid. Tutto è cominciato nel novembre 2021 «quando papà, che ha 76 anni, si è ammalato di Covid. Una volta guarito era però sempre debole ma ci dicevano che si sarebbe ripreso. Così non è stato. Perdeva l’equilibrio, cadeva, a volte non era cosciente. Abbiamo così cominciato a sottoporlo a tutta una serie di visite, a pagamento, perché le liste d’attesa erano tremendamente lunghe. E ci ripetevano che mio padre non aveva nulla. Noi però ci rendevamo conto dei continui peggioramenti e allora, nel giugno 2023, lo abbiamo fatto ricoverare al San Raffaele di Milano. Qui i nostri dubbi sono diventati certezze: era affetto da una patologia neurodegenerativa del cervelletto e del tronco encefalico. E a quel punto abbiamo presentato la domanda di invalidità. Da mesi attendiamo una risposta. Nel frattempo abbiamo continuato a spendere tra badanti, altre visite, letto ortopedico, panni».

L’ospedale. Per Maria la nota più dolente arriva dall’ospedale, il Giovanni Paolo II. «So bene che il personale è carente e che gli operatori fanno il possibile per garantire la migliore assistenza. Ma è davvero capitato di tutto». E così comincia un’altra parte del racconto. «Il 18 gennaio scorso mio padre cade e batte la testa. Aveva riportato un piccolo taglio e ci voleva un punto. Andiamo al pronto soccorso e a 24 ore dalla caduta e dalle cure, viene rimandato a casa. Il giorno dopo sta di nuovo male e torniamo nel reparto di emergenza urgenza. Viene trasferito a Sassari in elisoccorso: si esclude un’emorragia cerebrale ma si scopre una grave polmonite in corso. Papà viene ricoverato per sei giorni a Sassari e il 27 gennaio ci chiamano per dimetterlo. Ci dicono che deve essere trasportato in ambulanza e iniziamo a telefonare alle associazioni: le prime otto non erano disponibili. Finalmente troviamo l’ambulanza e il trasferimento ad Arzachena ci costa 230 euro». Ma la tregua dura solo 24 ore. «Il giorno successivo trasportiamo mio padre di nuovo al pronto soccorso e qui rimarrà tutta la notte e il giorno dopo. Aveva la febbre e respirava male, ma viene dimesso comunque lunedì 29 gennaio dicendoci di farlo visitare dal medico curante. “Qui c’è un’infezione”, ci dirà lui, e cominciamo la terapia antibiotica. Ma dopo 5 giorni la situazione precipita e torniamo ancora al pronto soccorso col foglio del nostro medico per fare una tac. Da domenica 4 febbraio papà resterà lì per due giorni».

L’infezione. «Appena rientrato a casa, il 6 febbraio, un altro peggioramento: papà fa fatica a parlare. Di corsa, per l’ennesima volta, all’ospedale e stavolta lo ricoverano in Medicina per una infezione e lo sottopongono a un intervento per applicargli la peg. Trascorre un mese in reparto e viene dimesso il 4 marzo. Sono rimasta senza parole di fronte alla mole di lavoro che devono sopportare gli operatori di quel reparto: solo due infermieri per trenta pazienti».

L’Adi. Una volta a casa - prosegue Maria -, viene attivata l’Adi (assistenza domiciliare integrata). Sono così arrivati un infermiere e un medico per istruirci, per spiegarci come fare l’aspirazione con la peg, perché loro possono venire solo due volte la settimana. Ma mercoledì 6 marzo, papà entra in stato comatoso e ci precipitiamo al pronto soccorso: lo ricoverano lì, nell’area dell’emergenza urgenza, perché non ci sono letti disponibili e ci chiedono come mai lo avessero rimandato a casa. Ce lo chiediamo anche noi. Ora è di nuovo in reparto, ma dovremo trasferirlo in una Rsa. L’unica convenzionata è quella di Padru e ci sono liste d’attesa di mesi. E forse, nel frattempo, mio padre non ce la farà».(s.p.)

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