La Nuova Sardegna

Olbia

La sentenza

Olbia, Odissea Alan Kurdi: il fermo della nave non era legittimo

di Giandomenico Mele
La nave Ong Sea eye nel porto industriale di Olbia
La nave Ong Sea eye nel porto industriale di Olbia

Dopo quattro anni il Consiglio di Stato annulla il provvedimento della Capitaneria di porto

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Olbia. Il fermo disposto dalla Capitaneria di porto di Olbia della nave Alan Kurdi era illegittimo. Lo ha stabilito una sentenza del Consiglio di Stato in merito al provvedimento con cui il 9 ottobre 2020 l’autorità marittima aveva disposto il fermo della nave al molo Cocciani, dopo lo sbarco di 125 migranti provenienti dalla Libia, tra i quali donne e bambini. La nave della Ong tedesca Sea Eye aveva attraccato al porto industriale Cocciani il 25 settembre 2020, dopo l’autorizzazione del Viminale (l’allora ministro Lamorgese), tra le proteste di assessori e consiglieri regionali della Lega. Sul posto erano poi giunti il questore e il prefetto.

Tutti i migranti erano stati identificati, sottoposti a visita medica e a tampone Covid, per poi essere indirizzati verso le strutture di accoglienza del territorio. La sentenza del Consiglio di Stato, accogliendo il ricorso della Ong tedesca contro il ministero delle Infrastrutture e la Capitaneria di porto, stabilisce un principio giuridico di valore assoluto: lo Stato di approdo non può pretendere certificazioni dell’imbarcazione estera, violando il principio di proporzionalità e imponendo il fermo della nave. E in caso venga contestato dinanzi ai giudici amministrativi italiani il fermo della nave, la domanda giudiziale anche ai fini risarcitori è ammissibile, senza necessità che siano esposti anticipatamente tutti gli elementi costitutivi del ristoro dei danni e la specifica istanza è proponibile fino alla fase di discussione della causa.

La quinta sezione del Consiglio di Stato ha accolto il ricorso della Sea Eye annullando la decisione del Tar sul provvedimento denominato “notice of detention for the master” (avviso di fermo al comandante) del 9 ottobre 2020, con il quale la Capitaneria di porto di Olbia aveva disposto il fermo della Alan Kurdi che, in base al “certificato di classe”, era destinata a “servizi speciali, in navigazione internazionale fino a 100 miglia dalla costa”. La nave, dopo aver soccorso al largo della Libia tre imbarcazioni con a bordo circa 133 persone che si trovavano in pericolo di vita, si era rivolta agli Stati costieri più vicini alla posizione in cui erano avvenuti i soccorsi, venendo indirizzata dal Centro di coordinamento del soccorso marittimo di Roma verso il porto di Olbia, dove i profughi soccorsi vennero fatti sbarcare il 25 settembre 2020.

Il Consiglio di Stato ha interpretato le norme internazionali e dell’Unione europea applicabili in materia di navigazione e soccorso in mare. Al centro i poteri esercitabili dallo Stato di approdo in termini di fermo di una nave. I giudici hanno ribadito che in base alle norme di diritto internazionale e a una direttiva comunitaria 2009 lo Stato di approdo può certamente effettuare ispezioni e verifiche laddove rilevi una situazione di pericolo, ma tali ispezioni e controlli non possono pervenire alla misura di riqualificazione della nave. In pratica, lo Stato di approdo non può imporre alle navi soggette alla giurisdizione di un altro Paese membro dell’Ue il possesso di certificati diversi da quelli rilasciati dallo Stato di bandiera o l’osservanza di prescrizioni relative a una diversa classificazione, pena la violazione del riparto di competenze tra Stato di bandiera e Stato di approdo.

Un quadro di riferimento normativo poco delineato e il fatto che, al momento della emissione del fermo, non erano stati ancora forniti i chiarimenti che la Corte di giustizia ha offerto con la pronuncia del 1° agosto 2022, hanno reso evidente l’assenza di colpa della Capitaneria di Olbia e giustificato la compensazione delle spese del giudizio. Nell’aprile 2021 la Alan Kurdi, come stabilito da un’ordinanza del Tar della Sardegna, aveva potuto riprendere il mare lasciando il porto di Olbia, dove si trovava ancora in fermo giudiziario, per recarsi in Spagna. I giudici amministrativi avevano ritenuto che “il prolungarsi del periodo di efficacia del provvedimento di fermo determinasse un grave danno patrimoniale alla ricorrente, tenuto anche conto delle ingenti spese portuali connesse al fermo della nave e del rischio che lo stesso fermo determinasse danni derivanti dall'interruzione prolungata della navigazione”.

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