La Nuova Sardegna

Olbia

Il femminicidio di Tempio

L’assassino di Elisabetta Naddeo esce dal carcere dopo 22 anni. La sorella: «Non sia una morte vana»

di Tiziana Simula
L’assassino di Elisabetta Naddeo esce dal carcere dopo 22 anni. La sorella: «Non sia una morte vana»

Parla Eliana Naddeo: «Non basta colorare di rosso panchine o scarpe femminili o “fare rumore” in sostituzione del minuto di silenzio»

12 novembre 2024
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Tempio «La morte di mia sorella non deve essere una morte vana, non può essere metabolizzata dalla collettività come una delle tante, come un numero, un dato statistico, adducendo addirittura la colpa ad un tragico destino». Ventidue sono gli anni che Elisabetta Naddeo aveva quando fu massacrata dal suo assassino, un ex compagno delle scuole medie che aveva un’ossessione per lei. Ventidue sono gli anni trascorsi da quell’agghiacciante delitto commesso la sera del 26 ottobre 2002 in un garage di via della Pineta, a Tempio. E ventidue sono anche gli anni che Giuseppe Zanichelli, un giovane di origine cilene adottato da una coppia di anziani di Tempio, reo confesso, condannato a trent’anni, ha trascorso in carcere. In questi giorni verrà rimesso in libertà.

È la prima volta da quel terribile giorno che la famiglia Naddeo parla pubblicamente di quanto accaduto. Lo fa Eliana, 40 anni, la più piccola delle tre sorelle. E il suo non vuole essere solo un ricordo, ma soprattutto un monito per smuovere le coscienze. «Se è chiaro che qualcosa a livello sociale sta venendo a mancare a causa dello sdoganamento generale di qualsiasi tipo di comportamento e linguaggio, o peggio, dell’indifferenza fatta passare per fatalità – dice –, è anche vero che la soluzione è insita nella stessa società. È necessario innescare una controtendenza, non soltanto colorando di rosso panchine o scarpe femminili o “facendo rumore” in sostituzione del più canonico minuto di silenzio, ma prendendo coscienza, anzitutto a partire dai ragazzi, operando attivamente e concretamente. Elisabetta ha pagato in nome di molte. Ma se si riproponessero le condizioni che hanno portato ad una morte così tanto efferata, avremmo oggi il coraggio che è mancato a molti allora? Dovremmo inoltre interrogarci se l’uccisione di una vita possa valere 22 anni di carcere, nonostante la pena comminata in nome del popolo italiano sia di trent’anni (questo per via delle attuali leggi penitenziarie e degli sconti riconosciuti ai condannati). La storie di Elisabetta, di Giulia Cecchettin, e di molte altre donne, vittime della prevaricazione dell’uomo su un altro uomo, gridano giustizia su diversi fronti. Devono essere un monito a tutti i livelli, anche per coloro che sono chiamati a tutelare in primis la nostra sicurezza. Epiloghi del genere non dovrebbero essere più scritti».

Quel giorno Elisabetta era uscita di casa nel pomeriggio, intorno alle 16.30. Era andata a comprare un cd di Carmen Consoli. «L’ho accompagnata io fino al negozio, poi sono andata via», ricorda Eliana. Ma Elisabetta non è più rientrata. Verso mezzanotte, dopo aver fatto decine di telefonate per cercarla, la famiglia dà l’allarme disperata. Il corpo straziato della 22enne viene ritrovato alle 3 di notte semi sepolto dalla terra, nel giardino antistante l’abitazione del suo ex compagno di scuola, in via della Pineta, a poche centinaia di metri dalla sua casa. Dopo aver comprato il cd si ferma a parlare per una decina di minuti con un’amica, commessa in un negozio di abbigliamento. Poi, mentre si incammina verso casa, incontra il ragazzo, allora 24enne. Viene attirata da lui con una scusa e portata dentro il garage, probabilmente sotto la minaccia di una coltello. E qui trucidata. Poi, trascinata nel cortile e ricoperta di terra nel tentativo di nasconderla. Giuseppe Zanichelli, fermato alle prime luci del mattino viene interrogato per oltre quattro ore e alla fine confessa il delitto. Commesso per un saluto negato, dirà lui.

Nel nome di Elisabetta Naddeo sta sorgendo a Tempio una casa di accoglienza. Un nuovo servizio destinato a fini filantropici che sarà, appunto, intitolato a lei, e che sarà ospitato nello stabile di via della Pineta che la famiglia Naddeo ha deciso di cedere al Comune dopo averne ottenuto il pignoramento a titolo di risarcimento, al termine della lunga vicenda giudiziaria che ha portato alla condanna dell’autore del delitto.

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