Tibulas, il vino fatto a mano: senza macchinari e diserbanti chimici
La cantina di Arzachena ha una precisa filosofia: mantenere l’armonia tra uomo, vite e terreno
Arzachena Riposano accarezzate dal vento sulla loro collinetta in località Li Cuponi, a pochi chilometri da Arzachena. Adagiate su un letto in cui sono state seminate numerose varietà di erbe, tra cui il dandelio, che crescono rigogliose tra i loro filari, le viti della cantina Tibulas sono nella loro fase dormiente, disturbate solo dalla potatura. Quelle che le curano sono mani reverenti e pazienti, che rispettano la natura e i suoi tempi, le caratteristiche del terreno e del territorio. Mani che appartengono a Emanuele Muzzu, titolare della cantina, e alla compagna, Roberta Floris. Ingegnere di professione, ma vignaiolo per vocazione, con Tibulas Emanuele ha realizzato il sogno di una vita.
Un sogno che porta avanti con passione e competenza da ormai un decennio con l’obiettivo di non interrompere il sano equilibrio tra ambiente e ciclo produttivo. E lo fa accudendo le viti in prima persona, senza l’utilizzo di diserbi chimici, dalla terra al calice.
La filosofia Tre gli ettari in totale, di cui due coltivati a vite. Una scelta che risponde proprio alla volontà di Emanuele Muzzu di gestire tutta la filiera. «Nei miei piani iniziali – spiega – c’era quello di mettere a frutto cinque ettari, ma mi sono ridimensionato. Ho preferito sacrificare la quantità alla qualità e al desiderio di controllare tutte le fasi da vicino». La filosofia alla base è quella di creare e mantenere l’armonia tra uomo, vite e terreno – un terreno duro, granitico «dal ph basso e dall’acidità alta» – cosicché la pianta viva a lungo e renda un vino unico. Ecco perché viene fatto tutto a mano, senza l’ausilio dei macchinari né di diserbi chimici.
«Anche la quantità di solfiti che usiamo è molto sotto i valori limite – continua Muzzu –. La prima aggiunta che faccio è per bloccare un certo tipo di fermentazione che avviene nel Vermentino, così che gli aromi tipici del vitigno non si alterino e il vino non risulti omologato agli altri, ma parli di questo territorio». Un rispetto così grande per l’ambiente che Emanuele ha sentito l’esigenza di ricreare, alle pendici della collinetta, un piccolo lago. «Essendo la vite una monocoltura, ho voluto garantire una forma di biodiversità. Ora qui si avvicinano le gallinelle selvatiche e d’estate si riempie di rane».
A sancire il legame con la natura, anche il nome dei primi due vini. «Il Dandelio, nome sia di un Vermentino che di un Cannonau – continua – fa riferimento ad un aspetto preciso del territorio, il vento, che influenza così tanto le nostre vigne». E a proposito di vini, sono sei in totale quelli prodotti nelle cantine Tibulas, due dei quali sono l’esempio di un’altra predisposizione di Emanuele, quella per la sperimentazione. «Emù – spiega – a differenza del Dandelio, per esempio, che fermenta nell’acciaio, è un Vermentino che facciamo fermentare all’interno di tre botti di legno, a tre temperature controllate, ma diverse, che generano tre diverse note aromatiche. Ne produciamo pochissimo, soltanto 800 bottiglie».
E ancora più bassa – di 300 bottiglie per la precisione – è la produzione del Cannonau Cuponi, un vino raro, che viene prodotto solo in particolari condizioni. A completare l’offerta, l’elegante rosato Flor. Il territorio Un sodalizio, quello tra uomo e natura, che, dunque, si allarga anche al territorio e alla sua storia. Sempre in cima alla collinetta di Li Cuponi che, segno del destino, significa “le grandi botti” c’è, infatti, un edificio in costruzione. «Stiamo preparando un’area per le degustazioni – racconta Emanuele – perché vorremmo offrire qualcosa in più a chi visita questa zona». Ed ecco perché a Tibulas si punta anche sullo storytelling e cioè sulla narrazione della vita del territorio e delle sue peculiarità. Un territorio che abbraccia anche l’antichità e l’archeologia. Poco distante dalla tenuta, infatti, sorgono i complessi nuragici delle tombe dei giganti e la necropoli a circoli di Li Muri.