La Sardegna che se ne va
La cosa che più deve far riflettere è che l’isola non offre più speranza, non offre più futuro - IL COMMENTO
Il futuro da scatola vuota, da splendido contenitore di nulla, avanza col passo veloce di un’isola abbandonata. 8mila persone in meno in sette mesi. La Sardegna si spopola, si svuota. E salvo qualche rara eccezione lo fa quasi senza più seguire le leggi della demografia. Un tempo erano le zone interne a svuotarsi, per carità una tendenza rimasta costante e drammatica, ma la grande fuga ora si allarga.
La fuga, coinvolge le città, le zone di mare, i centri produttivi. Anche quelli che un tempo erano calamite di popolazione. Si va via da Cagliari, da Sassari, da Oristano, da Nuoro. Un’emorragia di residenti che sfiora il 10 per cento nei primi otto mesi del 2022. Ci sono solo pochi centri che registrano un segno più nel numero dei residenti. Olbia, e alcuni paesi dell’hinterland.
La dinamica demografica cambia. L’effetto ciambella che riempiva le città costiere e svuotava l’interno dell’isola si è attenuato, non perché ci sia stato un ritorno alle montagne, ma perché si va via dalla Sardegna. I motivi sono un lungo elenco di mancanze e promesse disattese. Alla cronica assenza di servizi si è aggiunta la grande crisi, che ha costretto tante persone a scappare via da un’isola che non dà prospettive. La cosa che più deve far riflettere è che la Sardegna non offre più speranza, non offre più futuro. Il presente è negativo, e non esiste qualcosa di diverso dall’eterno presente di miseria. La grande crisi alimentata da due anni di covid e dai rincari bellici ha divorato la classe media. Vivere nelle città è diventato insostenibile. Chi può va via dalla Sardegna alla ricerca di un tessuto economico vitale che garantisca un migliore tenore di vita. Chi non riesce si sposta e cerca casa nei paesi satellite. Ma questa nuova spinta che svuota i centri storici ha un doppio effetto. Cagliari ha trasformato il suo cuore in un unico bed&breakfast. A Sassari e Nuoro i centri storici sono sempre più desertificati, una selva di saracinesche abbassate.
Difficile pensare a un’inversione di tendenza, anche perché non si cercano più le cause, c’è una sorta di rassegnata accettazione a questa morte dei luoghi per assenza di residenti. Perché a una dinamica migratoria accentuata si somma una forte denatalità. In Sardegna non nasce più nessuno, l’isola è all’ultimo posto per figli nati ogni mille abitanti: appena poco più di 5. L’età media delle madri è la più alta, intorno ai 40 anni. E la Sardegna è anche in vetta per numero di figli unici. Una resa demografica che ha un unico punto di caduta, la desertificazione dell’isola.
Un quadro devastante perché è senza speranza, senza futuro. Una sentenza di estinzione per la Sardegna. La politica brilla per assenza. Dalla finestra elettorale i candidati promettono torrenti di denaro per ripopolare le zone interne, e solo loro potevano non rendersi conto dello stato di morte anche dei capoluoghi. Ma nei fatti, nelle delibere, si continuano a tagliare presidi e servizi. Nei comuni è diventato un miraggio anche avere un medico di base, una scuola, un collegamento internet veloce, una strada dignitosa che non faccia sentire gli abitanti del paese isolati come pinguini in Antartide. Si chiede ai sardi di restare dentro i loro comuni, come se fossero una riserva indiana, una folklorica presenza da vendere ai turisti, ma non si danno a loro i mezzi per vivere. Questa non è una sfida per la Regione e per i parlamentari, ma è l’emergenza di una terra che in pochi decenni resterà senza più abitanti.