L’isola del “malvivere”, ma si può ripartire
Sse misuriamo il benessere dei territori, forse cogliamo le ragioni per cui in Sardegna non si investe più nel futuro
C’è una Sardegna a senso unico che si sta svuotando? I numeri ci dicono questo. I processi di spopolamento che ormai riguardano anche le città e non soltanto i paesi, stanno subendo delle accelerazioni anche per la crescente fuga dall’Isola soprattutto delle popolazioni più giovani e acculturate. Altre volte mi sono soffermata su questi fenomeni, ma la gravità della situazione rende necessario ritornare sull’argomento.
Nella speranza che chi ha un ruolo di governo (ai diversi livelli) intervenga prontamente sia con politiche mirate ad invertire la rotta dello svuotamento sociale, sia ponendosi le giuste domande sul perché ciò stia avvenendo, al fine di rimuoverne le cause. Le prime domande hanno a che fare con le condizioni di vita individuali e sociali e se queste rientrino a pieno titolo nel concetto di ‘benvivere’, così come precisato dai sostenitori dell’economia civile.
Stando al recente Rapporto sul ben-vivere delle province e dei comuni italiani 2022, presentato in piena campagna elettorale e perciò acquisito distrattamente dalla politica e dai cittadini, in Sardegna la soglia di benessere – da non intendere soltanto dal punto di vista economico – è piuttosto bassa. Ciò si ricava dai ben 77 indicatori applicati per stilare le classifiche delle province e ordinati all’interno dei seguenti domini: Accoglienza, Ambiente, Turismo e cultura, Capitale umano, Demografia e famiglia, Economia e inclusione, Impegno civile, Lavoro, Legalità e sicurezza, Salute e servizi alla persona. L’insieme di questi indicatori posti in relazione tra loro (ibridi per l’appunto) definiscono se e quanto un territorio sia luogo del ‘benvivere’, e consente anche di stabilire il livello di ‘generatività’, intesa a livello tanto personale in quanto capacità di avere con la propria vita un impatto positivo, quanto sociale ed economico, intesa come capacità creativa, innovativa e inclusiva di una comunità sostenibile anche sotto il profilo ambientale. In altre parole, indicatori che riguardano la demografia, quali il tasso di natalità, l’età media della donna al primo parto e, non da ultimo, il numero dei figli, sono rapportati ad altri indicatori che registrano in una specifica provincia la presenza nonché la qualità di servizi pubblici e privati, il numero di giovani che non lavorano e non studiano (i cosiddetti Neet), di anziani attivi e di quelli che necessitano di assistenza, di cooperative, di startup, di aziende con certificazione forestale, e così via.
E se Bolzano si colloca al primo posto per le condizioni di ‘benvivere’ e, non casualmente, anche per la natalità, le province sarde si collocano stabilmente agli ultimi posti in quasi tutti gli ambiti rilevati.
In altre parole, se misuriamo il benessere dei territori, forse cogliamo le ragioni per cui in Sardegna non si investe più nel futuro, come recentemente e lucidamente ha scritto Luca Rojch. Questo ha a che fare con il crudele destino, oppure con una persistente miopia nel governare ed essere governati? Domanda retorica che non abbisogna di risposte.
Ma in Sardegna è tutto così negativo? Sembrerebbe di no. Mi limito ad un solo esempio. Il sopracitato Rapporto sul Benvivere segnala che, per ciò che riguarda l’influenza dell’economia sull’ambiente, la Sardegna è la regione che incide meno sul clima in rapporto alla ricchezza che produce. E allora, perché non fare dell’azzeramento di emissioni di CO2 un elemento di forza della nostra regione? E, invece di pensare a ulteriori piani urbanistici fondati ancora una volta su volumetrie, non si fanno piani condivisi di trasformazione del patrimonio edilizio e di riorganizzazione dei servizi, rendendo attive le comunità locali e le intelligenze presenti? Forse così si renderebbero operative quelle comunità energetiche, finora tanto richiamate più come slogan che come fatti veri. Insomma, perché una persona abbia voglia di rimanere e persino venire in Sardegna, deve intravedere la possibilità che qui si può ‘benvivere’ anche in inverno.