Una vittoria del Sud che sa di popolo
Il Napoli ha rotto gli schemi come il Cagliari di Riva, e Maradona lassù se la sta godendo
«Si jo fuera Maradona. ..» mi farei un sacco di risate. Ve lo immaginate il Pibe de oro che si gode dall’alto la sua Napoli in festa per il terzo scudetto, il primo senza di lui. Provate a chiudere gli occhi e immaginatelo mentre annusa l’odore dei fuochi d’artificio e sente le urla della città, i rumori della gioia, la felicità di un popolo che lo ha eletto eroe senza tempo. Io me lo immagino seduto su una panchina nello stadio delle Praterie Celesti (ci sarà un posto del genere da quelle parti, spero), con quella faccia furba e maliziosa. Seduto che si gusta il trionfo della sua vecchia squadra, l’eruzione dei tifosi allenati dalle sue prodezze, ma che aspettavano da 33 anni di ripetere quelle emozioni così intense. Me lo immagino che guarda la panchina vicina dove si riposa Pelè e tira un fuori un sorrisetto maligno e pensa: «Chi è meglio? Non lo so, ma sono qui da poco e l’Argentina è ridiventata campione del mondo e il Napoli ha rivinto lo scudetto. Vedi tu...». Come si fa a non pensare a Maradona davanti all’evento sportivo di questi giorni, davanti ai mille culuri della Napoli di Pino Daniele, davanti al ricomincio da tre di Troisi, davanti a una città in amore. È una felicità contagiosa, soprattutto per noi che “Simmo do Sud”, per noi sardi che uno scudetto contro lo strapotere del Nord lo abbiamo vinto prima di tutti, con Giggiriva nel ruolo del cavalier vincente.
Rompere gli schemi da più sapore alle imprese sportive. E questa vittoria del Napoli ha tutte queste caratteristiche. La Sardegna e Napoli hanno in comune l’appartenenza alla Corona Aragonese, la passione per l’oro rosso, il corallo che i pescatori napoletani tirano fuori dal mare sardo. E tra i protagonisti di uno scudetto del Napoli, il secondo, quello del 1990 c’è il miglior talento sardo, Gianfranco Zola, il baronetto che grazie alle prodezze alla fine degli anni Ottanta con la maglia della Torres, incantò i dirigenti del Napoli che cercavano gli eredi di Maradona. Sono indimenticabili gli occhi felici di Bruno Rubattu, presidente della Torres, quando annunciò la cessione al Napoli di Moggi e Ferlaino del campione di Oliena. Nella stagione dello scudetto con la maglia del Napoli Zola giocò 18 partite e realizzò 2 gol, ma soprattutto crebbe in personalità e classe, al fianco del Pibe de oro. E comunque il trionfo del Napoli senza un campione assoluto come Maradona rende ancora più particolare l’impresa della banda Spalletti. Vedendo i giocatori napoletani che festeggiavano sotto la curva ho pensato al quadro di Pellizza da Volpedo, Il Quarto Stato. Facce normali, semplicità. Dietro il trionfo non ci sono campioni brasiliani, argentini o tedeschi, ma un nigeriano, un georgiano e un coreano, calciatori che arrivano dalle periferie del pianeta calcio. Il Napoli ha 16 punti di vantaggio sulla seconda a 5 giornate dalla fine proprio nell’anno in cui ha venduto i propri punti di forza Insigne, Maertens e Koulibaly. Ha dominato con talenti quasi sconosciuti. Il capitano Giovanni Di Lorenzo, potrebbe essere un professor di liceo o un produttore d’olio dell’Oristanese: grande efficienza e normalità, il georgiano Kvara, che ha i calzettoni bassi come Sivori, idolo del tifo napoletano degli anni Sessanta, ha numeri tecnici impressionanti. Osimhen, bomber nigeriano super atletico ha segnato come Careca e Altafini, miti del passato e il ragionier Lobotka è entrato nel cuore dei tifosi come solo Antonio Juliano aveva saputo fare. La semplicità al potere, l’organizzazione come fondamenta, il talento al servizio degli altri. Sulla panchina delle Praterie Celesti, anche Diego Armando si può rilassare. Sanno vincere anche senza di lui.