La Nuova Sardegna

Oristano

La sentenza definitiva

Narbolia: convinse la moglie a gettarsi in mare, marito condannato a 8 anni

di Enrico Carta

	Giovanni Perria scortato dagli agenti di polizia penitenziaria durante il processo di primo grado a Cagliari
Giovanni Perria scortato dagli agenti di polizia penitenziaria durante il processo di primo grado a Cagliari

Non fu un omicidio, ma Giovanni Perria è colpevole dell’istigazione al suicidio di Brigitte Pazdernik. La Cassazione ha confermato la decisione della Corte d’Assise d’appello

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Narbolia Non fu omicidio, fu istigazione e induzione al suicidio. La Corte di Cassazione rigetta i ricorsi di accusa e difesa e chiude la vicenda giudiziaria della morte di Brigitte Pazdernik, la signora tedesca di 79 anni residente a Narbolia, annegata nelle acque tra Is Arenas e Torre del Pozzo il 10 ottobre 2018. Per la giustizia italiana il colpevole è il marito Giovanni Perria che oggi ha 82 anni e che allora inscenò la sparizione della moglie, sostenendo che fosse scappata di casa perché aveva deciso proprio di togliersi la vita, intenzione confessata qualche tempo prima alla migliore amica.

I giudici hanno dunque confermato la sentenza di appello secondo la quale l’imputato dovrà scontare otto anni. Considerando che ha già trascorso un periodo in carcere e un altro ai domiciliari, restano da scontare ancora sei anni e otto mesi che, per il momento, Giovanni Perria dovrà vivere proprio da recluso. La Cassazione ha infatti deciso anche la misura alla quale dovrà sottostare, anche se questo apre la strada a eventuali ricorsi al tribunale di sorveglianza da parte della difesa, affidata all’avvocato Antonello Spada, che chiederà a breve i domiciliari. Sarà un’ulteriore coda giudiziaria di un caso che è risultato quanto mai complesso fatto di indagini difficili, di indizi che si incastrano gli uni con gli altri, ma anche di tanti piccoli dettagli che hanno portato in aula ad avere ricostruzioni quanto mai differenti.

In primo grado la sentenza della Corte di Assise di Cagliari aveva dato ragione al pubblico ministero Armando Mammone e aveva decretato la condanna di Giovanni Perria a 24 anni per omicidio volontario. Il movente dell’omicidio sarebbe stato un tradimento commesso una quarantina di anni prima, una relazione extraconiugale tra Brigitte Pazdernik e il fratello dell’imputato, da cui poi sarebbe nata anche una figlia la cui paternità è stata però sempre attribuita ufficialmente a Giovanni Perria. Il 10 ottobre del 2018, mentre i due coniugi guardavano un programma alla televisione tedesca che riportò alla mente quell’infedeltà, la coppia avrebbe avuto una pesante discussione. Le urla furono avvertite da una vicina di casa, che poi vide anche la macchina di Giovanni Perria uscire dal garage in piena notte. Secondo l’accusa, avrebbe caricato a bordo la moglie e poi l’avrebbe portata sino al mare per gettarla in acqua.

Brigitte Pazdernik sarebbe annegata di lì a poco, sebbene il suo corpo riemerse qualche miglia più in là a Su Pallosu qualche giorno più tardi. Nel frattempo, oltre che portare avanti le ricerche della donna scomparsa, la polizia aveva iniziato a mettere insieme i pezzi di una storia che non tornava. Era quella raccontata da Giovanni Perria che aveva detto di essere stato a letto quando aveva sentito la serranda del garage aprirsi, per poi precipitarsi giù a vedere cosa stesse accadendo e facendo appena in tempo a scorgere nel buio la sagoma della moglie che poi da quel buio sarebbe stata inghiottita per sempre in una sera di vento, nuvole e temporali. Tra parecchie evidenti incongruenze e una serie di bugie, il racconto venne smontato pezzo per pezzo dagli inquirenti, tanto che a gennaio 2019 si arrivò all’arresto dell’indagato e alla prima condanna.

La sentenza di primo grado fu poi in buona parte rivista dalla Corte d’Assise di appello sempre a Cagliari che disse che non c’era la prova dell’omicidio, ma che tutto lasciava pensare che le pressioni del marito avessero convinto la moglie a gettarsi in acqua. Da quella per omicidio si passò quindi alla condanna per istigazione al suicidio, che non trovò d’accordo né la procura generale della Cassazione che chiese la conferma della sentenza di primo grado e quindi il rinvio del procedimento alla Corte d’assise d’appello per rivalutare in maniera più severa il caso, né l’avvocato difensore Antonello Spada che invece sosteneva che l’imputato non avesse potuto difendersi dalla nuova imputazione e che, secondo la procedura, avrebbe anche potuto chiudere la vicenda con un patteggiamento allargato o con un giudizio tramite il rito abbreviato già in primo grado, andando magari incontro a un’assoluzione o a una condanna inferiore.

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