Bambino di Oristano con l’autismo: nessuno paga le terapie
I giudici danno ragione alla famiglia, ma i soldi per il trattamento non arrivano
Oristano A volte non basta una sentenza per avere giustizia. Si ottiene ragione, ma poi quella decisione andrebbe rispettata. In questa storia, invece, non sono stati sufficienti né il pronunciamento dei giudici né le successive diffide inviate dai legali all’Asl. E anche prima, quando ancora era in piedi la vecchia Ats che gestiva il sistema sanitario isolano, la situazione non era semplice. Tutto era iniziato nel 2015, quando una famiglia oristanese riceve la diagnosi che riguarda il proprio figlio: per i medici è autismo e sono necessarie terapie specifiche sul bambino. Il primo problema emerge subito dopo, quando si capisce che le liste d’attesa sono lunghissime, motivo per cui il bimbo che allora aveva due anni non può essere seguito immediatamente. Avviare la terapia è però quanto di più urgente si possa immaginare, ma l’Asl ci impiega sei mesi a dare una risposta e, quando lo fa, dice che non è possibile dare subito assistenta al bambino. Allora la famiglia si rivolge, su indicazione della stessa Asl, a una struttura privata dove inizia il percorso con il metodo ABA, ammesso dall’Istituto Superiore della Sanità.
Passa il tempo e la terapia, che ha un costo, diventa ingestibile dal punto di vista economico. La famiglia riduce le ore delle sedute al minimo indispensabile, ben sapendo che questo rallenta il processo di maturazione del proprio figlio. Quando l’Asl si fa nuovamente viva propone una terapia differente rispetto a quella sin lì portata avanti, perché non ha specialisti su quel particolare tipo di trattamento neuropsichiatrico infantile. Prospetta un’alternativa con situazioni logistiche e orari che metterebbero in grande difficoltà i genitori, spaventati anche dal fatto di dover iniziare da zero con un nuovo metodo. Preferiscono quindi continuare con la precedente terapia e vanno avanti facendo seguire il bambino dal centro privato con spese interamente a carico loro perché l’Asl rifiuta qualsiasi tipo di rimborso.
Si finisce allora in tribunale e la causa di primo grado viene vinta dall’Asl-Ats, assistita dall’avvocato Salvatore Miscali, cui la sezione civile di Oristano dà ragione. L’appello a Cagliari, esaminato dai giudici Maria Luisa Scarpa e Angelo Lucio Caredda, ha un esito differente. La loro sentenza chiarisce che non era un capriccio dei genitori o una scelta di comodo quella di far proseguire al figlio il trattamento ABA, ma una necessità legata anche ai tempi di attesa e al cambiamento che avrebbe potuto comportare un regresso a fronte dei miglioramenti che aveva prodotto la prima terapia.
La sentenza dice che l’Ats è condannato a pagare 28.602 euro, somma spesa dalla famiglia sino al momento in cui era iniziata la contesa giudiziaria, a cui andavano sommati circa 6.800 euro di spese legali per i due gradi di giudizio e le ulteriori spese sostenute negli anni in cui la causa andava avanti. Sembra la parola fine, con la giustizia che ha stabilito chi avesse ragione e chi invece fosse dalla parte del torto. Invece non è così, perché c’è bisogno di solleciti legali da parte degli avvocati Gian Mario Spiga e Federica Garau, che tutelano la famiglia. Alla fine Ats paga la somma dovuta sino al momento in cui l’Azienda per la tutela della salute è stata seppellita dalla riforma della sanità sarda e trasformata in Ares. Nel frattempo è passato qualche anno e la famiglia continua a pagare la terapia di tasca, riducendo al minimo le ore: il ragazzino ne fa circa sei alla settimana e non venti come stabilito dal giudice, perché ovviamente ci sono anche da fare i conti con le finanze domestiche. Il tutto mentre Ares e Asl si rimpallano la responsabilità del pagamento oppure nemmeno rispondono alle diffide.