La Nuova Sardegna

Oristano

La sentenza

Zeddiani, uccise la moglie a martellate mentre lei dormiva: sconto di pena per Giorgio Meneghel


	Gli inquirenti davanti alla casa di Zeddiani in cui avvenne il delitto
Gli inquirenti davanti alla casa di Zeddiani in cui avvenne il delitto

L’agricoltore 54enne colpì Daniela Cadeddu (51 anni) nel sonno. La condanna passa da 21 anni a 19 anni dopo il concordato tra la procura generale e la difesa

05 luglio 2024
3 MINUTI DI LETTURA





Zeddiani Cala di due anni e si ferma a diciannove la pena per Giorgio Meneghel. Decisivo è stato il concordato tra la procura generale e l’avvocata Francesca Accardi che difende l’agricoltore di 54 anni che il 5 febbraio del 2022 uccise a martellate la moglie Daniela Cadeddu, 51enne di Cabras. L’imputato era stato condannato in primo grado a 21 anni e, una volta uscito dal carcere, avrebbe dovuto trascorrere tre anni di libertà vigilata. La scelta processuale ha ora portato allo sconto sull’ammontare della pena allorché la Corte d’assise d’appello di Cagliari ha riconosciuto le attenuanti generiche prevalenti rispetto all’aggravante che era stata contestata.

Il femminicidio era stato commesso all’alba, quando Giorgio Meneghel, che si stava dirigendo al lavoro, rientrò quasi subito a casa e armato di una mazza da muratore, entrò in camera da letto dove la moglie dormiva, colpendola più volte alla testa, fino a sfondarle il cranio. Subito dopo l’agricoltore aveva avvertito i carabinieri con una telefonata in cui confessò il delitto: «Venite perché ho ucciso mia moglie». Agli investigatori, che arrivarono poco dopo nell’abitazione di via Roma, si presentò uno scenario sconvolgente. Il corpo senza vita di Daniela Cadeddu era riverso sul letto in una pozza di sangue. Meneghel venne arrestato e sin dal primo momento collaborò nelle indagini. Agli inquirenti disse di aver ucciso la moglie nonostante l’amasse profondamente, perché aveva paura di morire di malattia e di non poter più mantenerla. Disse che a causa dei suoi problemi di salute non poteva lavorare più come prima e di non guadagnare abbastanza per assecondare le richieste della moglie che spendeva tanto per accudire cani e gatti randagi. Raccontò che quella mattina, dirigendosi verso la camera da letto, voleva uccidere Daniela e che sperava di trovarla addormentata, dicendo tra sé e sé: «Così faccio presto» .

È la stessa tesi che aveva ripetuto anche in aula con dichiarazioni spontanee, lette senza mai sollevare lo sguardo, da due fogli scritti in cella. Meneghel disse ai giudici di non voler chiedere perdono «perché non posso essere perdonato per quel che ho fatto». Dal processo era di primo grado poi emerso che nessuno tra i familiari o gli amici pare sospettasse che la coppia avesse problemi, almeno non così gravi da portare a una conclusione talmente drammatica. Tutti hanno detto che la coppia appariva legata da un profondo affetto. «È il mio miglior amico», pare dicesse di lui Daniela. «Mio figlio adorava sua moglie», dichiarò Italo Meneghel, padre dell’imputato. Tutti sapevano anche della depressione di cui soffriva l’imputato, «probabilmente sottovalutata», come aveva sottolineato l'accusa. Depressione che invece, per l’avvocata Francesca Accardi fu la causa scatenante del delitto. La legale aveva infatti sempre insistito sul riconoscimento almeno parziale di un vizio di mente del suo assistito «riconosciuto dalle perizie dei consulenti». In primo grado, cosa che viene questa confermata dalla sentenza di appello, Giorgio Meneghel era stato condannato anche al versamento di una provvisionale ai familiari della moglie: 20mila euro ciascuno alla sorella e al fratello, 40mila alla madre, parti civili assistite dall’avvocato Vito Zotti. Ora la causa civile stabilirà l’entità complessiva del risarcimento.

Primo piano
Continuità territoriale

Trasporti aerei, la proposta: «Sconti per i sardi emigrati»

di Andrea Sini
Le nostre iniziative