Strage di pesci nell’Oristanese, pescatori in ginocchio
Il presidente del Consorzio Marceddì, Antonio Loi: «Trent’anni senza risposte»
Arborea Nove cooperative di pescatori quasi in ginocchio: in ballo c’è il futuro di 115 famiglie. «Prima riuscivamo a vivere, ora non più», raccontano un po’ tutti facendo spallucce sotto il sole rovente di Corru S’ittiri, duecento ettari di stagno, oltre le immense fattorie di Arborea, dove un tempo si riusciva a pescare e mandare avanti la famiglia. Ma «le morie di questi giorni – spiegano – stanno ammazzando anche noi». Un’altra «morte annunciata», questa volta nello stagno che lambisce gli allevamenti di Arborea, sulla “Strada 10 ovest” che corre lungo i campi coltivati a granturco. La Asl è arrivata in mattinata per fare un altro sopralluogo nello specchio d’acqua dove i pesci galleggiavano morti, a causa delle temperature troppo elevate di questi giorni. «Non c’è ricambio, si facciano le pulizie dei canali, sono il polmone dei nostri stagni. La Regione ci ascolti e si lavori affinché gli stagni non diventino paludi».
Il presidente del consorzio cooperative pesca Marceddì, Antonio Loi, non ne fa una questione di soldi: «Non vogliamo indennizzi, vogliamo poter essere messi nelle condizioni di lavorare e portare a casa la pagnotta». «Qui ci sono centocinquanta padri di famiglia che devono andare avanti», sbotta Giuliano Cossu, a capo della cooperativa Nuovo consorzio Pontis di Cabras: «Quello che stanno vivendo i miei colleghi ora, nello stagno di Cabras è successo venticinque anni fa, quando la moria non ha risparmiato nulla e noi ci siamo ritrovati a raccogliere tonnellate di pesci morti per mesi. Stiamo ancora pagando le conseguenze». Qualche giorno fa i pescatori dell’Oristanese si sono trovati di fronte ad una vera e propria strage: «Spigole, orate, granchi, anguille, muggini, arselle, granchi. Sulle sponde dello stagno – racconta Loi – c’erano tonnellate di pesci morti. A disposizione ci sono sei milioni di euro, basterebbe metterli in campo. Il problema si risolve facendo intervenire i consorzi di bonifica».
Dopo la moria di San Giovanni e quella nella terza peschiera a Marceddì, Terralba, i pescatori si dicono pronti «alla mobilitazione», precisa Giuliano Cossu. Nella lettera siglata dai cinque compendi di Cabras, Is Benas, Santa Giusta e Marceddì, «per la prima volta uniti», e inviata agli assessori regionali all’Agricoltura Gian Franco Satta, alla Difesa dell’ambiente Rosanna Laconi e alla presidente della Regione, Alessandra Todde, i pescatori parlano di una «situazione gravissima» ribadendo «l’urgenza di un intervento» della politica «affinché le alte temperature dei giorni scorsi e quelle previste più alte per le prossime settimane non facciano accadere l’irreparabile». «Ci vorrebbe un assessorato esclusivo che risolva una volta per tutte i nostri problemi. Sono ormai trenta anni che aspettiamo risposte che non arrivano mai», ribadisce Cossu da Cabras.
«Noi campiamo dalla pesca». Il presidente della cooperativa Valle Marceddì, Andrea Tocco, padre di due figli, ha 40 anni: «Arrivare allo stagno e trovare i pesci morti significa non poter portare il pane a casa, pagare le spese, crescere i figli». Marcello Tocco, 22 anni, figlio di pescatore come quasi tutti da queste parti, vorrebbe poter continuare a vivere di pesca. «Se le Istituzioni non intervengono per garantire la pulizia dei canali ostruiti, è la fine anche per un giovane come me». «Servono opere urgenti per il dragaggio dei canali adduttori e dei fondali degli stagni – spiega Antonio Loi – l’interramento dei canali blocca l’interscambio idrico tra stagni e mare». L’acqua che si surriscalda in giorni da bollino rosso, per le temperature che sfiorano i 40 gradi, fa il resto: «Una strage».