La storia di Francesco Perla: dal mare di Cabras alle vette più alte del mondo
Ha appena scalato gli oltre seimila metri dell’Alpamayo in Perù e ora sogna di piantare la bandiera sulla cima dell’Everest
Cabras Nato sulle rive del mare, ha appena scalato la cima andina dell’Alpamayo, poco meno di seimila metri di altezza. È il primo sardo a riuscirci e ora sogna di fare ancora di più entro due anni: scalare l’Everest, la cima più alta del Mondo con i suoi 8849 metri di altezza. Lui è Francesco Perla, giovane alpinista cabrarese di 33 anni.
Come nasce la passione per la montagna, visto che lei è nato in riva al mare? «Quando ero bambino e durante le vacanze estive e invernali, andavo a trovare i miei parenti materni a Barisardo. Dal finestrino dell'auto guardavo con curiosità le cime del Gennargentu, e già allora questo suscitava in me un forte interesse. Poi negli anni, crescendo, mi sono chiesto spesso se un giorno sarei riuscito a salire sopra quei monti. Ma a ventidue anni ho attraversato un momento della mia vita molto difficile: mi hanno diagnosticato un tumore».
Cosa è successo? «Mi ero appena laureato alla Triennale in Scienze motorie, e ho dovuto interrompere gli studi della magistrale perché dovevo fare la chemioterapia e la radioterapia. È stato un momento buio, ho fatto due anni di cure in cui spesso passavo le giornate a letto, fra casa e ospedale. Per fortuna sono guarito. Ma subito dopo c'è stato un altro evento che mi ha segnato: la morte di mio zio materno, cui ero molto legato. In quel momento ho deciso di trasferirmi a Urbino per completare il mio percorso in Scienze Motorie e prendere la Laurea magistrale. Ed è stato in questi due anni che mi sono avvicinato all'alpinismo. È iniziata così per me la fase del cambiamento. Lo sport mi ha dato fiducia in me stesso. Ho ripreso a muovermi e lavorare sulla muscolatura e sulla capacità aerobica, dopo che tutto questo mi era stato precluso per due anni».
Poi cosa è accaduto? «Ho preso la laurea magistrale a Urbino e ora sto frequentando dei master e sto per prendere la terza laurea, sempre nell'ambito delle Scienze motorie, in particolare sulla riabilitazione e i percorsi post traumatici. In futuro voglio fare altri studi legati allo sport e alla nutrizione. Nel frattempo ho iniziato la mia avventura nell'alpinismo, prima con le vette minori, e poi crescendo. Inizialmente da autodidatta, poi ho seguito corsi, mi sono documentato e rivolto alle guide alpine. Ho scalato le vette italiane, a cominciare dal Gran Sasso, poi Monte Rosa, Monte Bianco e Cervino».
L'ultima impresa è stata la scalata dell'Alpamayo, in Perù. Ce la racconta? «Non è stato semplice: una montagna di quasi seimila metri, con l'aria rarefatta, le temperature estreme e la pendenza è di 85 gradi: un muro enorme di ghiaccio. Ci abbiamo messo sei giorni: tre e mezzo per salire, uno e mezzo per scendere. Gli ultimi 600 metri hanno la pendenza più ripida. Siamo partiti all'una di notte e arrivati attorno alle 9 del mattino. Grazie al Comune, in cima ho sventolato la bandiera di Cabras. Un motivo di orgoglio per me. Ricordo che ero sfinito. Ho realizzato che ce l'avevamo fatta quando in auto mi dirigevo da Huaraz verso Lima. Ho iniziato a mandare messaggi. Il primo a mia madre, che ha ripreso a respirare. Ora spero di portare la bandiera di Cabras in cima all'Everest».
Come si è alimentato durante l'impresa? «L'alimentazione prima delle salite è ricca di proteine e grassi. Si portano cibi leggeri, barrette proteiche, scatolette... Ho perso 8 chili in 6 giorni. Quando mi ha rivisto mamma si è spaventata». Che scalatore è lei? «Vengo dal mare. gli altri che vivono in montagna si allenano ogni giorno sulle cime, io mi devo adattare a quello che posso fare dove sto: lavoro in palestra, vado in bici e corro, mi manca la parte tecnica. Cerco di compensare con la scalata su roccia. Posso definirmi un "alpinista atipico", fatico il triplo ma ci metto la testardaggine di noi sardi».