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Oristano

In tribunale

Suora accusata di maltrattamenti: «Sui bimbi pugni e calci allo stomaco»

di Michela Cuccu
Suora accusata di maltrattamenti: «Sui bimbi pugni e calci allo stomaco»

Insegnanti ed educatrici confermano quanto emerso dall’inchiesta

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Nurachi «Quando la suora parlava degli alunni diceva che non erano bambini ma bestie feroci». All’udienza di oggi 12 dicembre del processo contro un’anziana suora (oggi 86 enne) accusata di maltrattamenti nei confronti degli alunni della scuola materna di Nurachi, gestita dalla congregazione delle suore salesiane oblate del sacro cuore, educatrici e insegnanti hanno confermato quanto già emerso nell’inchiesta.

Un’udienza drammatica che ha riproposto quanto già accertato attraverso le telecamere che i carabinieri avevano sistemato nella scuola «Ho visto la suora dare pugni in testa ai bambini, colpirli con un bicchiere o con una campanella. Ma una volta la vidi dare calci alle gambe e allo stomaco di un alunno». Non era facile la vita in quella scuola nemmeno per le insegnanti che inizialmente, senza però formalizzare la denuncia, andarono in questura a raccontare cosa accadeva nella mensa dove l’imputata prestava servizio. Per alcuni bambini, il pranzo poteva trasformarsi in un inferno tanto che alla fine a scuola non ci volevano più andare. «Se un bambino lasciava qualcosa nel piatto la suora lo costringeva a mangiare imboccandolo a forza. Se si alzava dal tavolo lo prendeva per le braccia e strattonandolo, lo portava via». Le testimonianze di Luisanna Pala, Daniela e Nicoletta Scintu, che negli anni dell’inchiesta insegnavano nella scuola paritaria di Nurachi sono state praticamente univoche.

«Entrai in cucina e vidi la suora in piedi che brandiva una sedia sopra un alunno che cercava di coprirsi la testa con le mani. Lo portai in classe: mi disse che la suora gli aveva fatto male», ha detto Nicoletta Scintu aggiungendo un particolare che se confermato, farebbe ipotizzare un tentativo di copertura da parte dell’ente religioso: «La congregazione ad un certo punto ci vietò di parlare con i genitori. Mi dissero che se mi avessero sorpresa a telefonare, avrei rischiato sanzioni. Io però, quando le cose non andavano bene, avvisavo lo stesso i genitori. Mandavo un messaggio e loro, con una scusa, venivano a scuola». E poi ancora storie di bambini che se si facevano la pipì addosso venivano rimproverati e umiliati davanti agli altri. E temevano la punizione più severa: finire rinchiusi in uno stanzino buio. Bambini che a forza di punizioni ad un certo punto si rifiutavano di andare a scuola e, come riferito nelle precedenti udienze dai genitori, cambiavano carattere, diventavano diffidenti, avevano paura di restare da soli e si terrorizzavano alla vista dell’abito monacale. Cambiare scuola tuttavia non significava cancellare automaticamente le paure. Un’insegnante di sostegno della scuola materna dove era stato trasferito uno dei piccoli ha detto di aver impiegato molti mesi prima di conquistare la sua fiducia: «Aveva paura di tutto», ha detto rispondendo alle domande della pm Silvia Mascia. Davanti ai giudici del collegio (presidente Carla Altieri, a latere Serena Corrias e Francesca Falchi) hanno testimoniato anche le psicologhe e neuropsichiatre infantili Stefania Frigato, Maria Elena Piras, Daniela Orrù e Manuela Abis, che hanno seguito uno dei bambini. «Era spaventato, Faceva dei disegni e poi li distruggeva. Gli chiesi perché lo facesse. Mi rispose che doveva fare così altrimenti, lo avrebbe picchiato la suora». Si torna in aula il 30 gennaio.

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