La Nuova Sardegna

Una testimonianza complica il giallo

Piero Mannironi
Sopra, un’immagine della misteriosa struttura nei fondali di Is Benas che, secondo un gruppo di archeosub, sarebbe un sottomarino chiuso in un sarcofago di cemento: potrebbe trattarsi del Veniero II, affondato nel giugno 1942. A destra, una foto giovanile di Gavino Congiu, il sergente di Bottidda che sopravvisse all’affondamento del Veniero II
Sopra, un’immagine della misteriosa struttura nei fondali di Is Benas che, secondo un gruppo di archeosub, sarebbe un sottomarino chiuso in un sarcofago di cemento: potrebbe trattarsi del Veniero II, affondato nel giugno 1942. A destra, una foto giovanile di Gavino Congiu, il sergente di Bottidda che sopravvisse all’affondamento del Veniero II

Un ex sergente di Bottidda: «Io sopravvissi all'affondamento del Veniero»

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SAN VERO MILIS. Il mistero resta tutto. Anzi, per certi versi si complica. Cosa sia quella gigantesca massa, lunga 77 metri, nei bassi fondali di Is Benas è un enigma ancora da risolvere. C'è un gruppo di esperti archeo-sommozzatori - Gianluca Mirto, Sergio Pivetta e Giorgio Spazzapan - che parla di un sottomarino completamente ricoperto di cemento. I tre lo hanno infatti inserito nella mappa dei relitti che "dormono" nei fondali italiani e ipotizzano possa trattarsi del Veniero II, un sommergibile della classe Marcello scomparso nei primo giorni del giugno 1942.

L'affondamento. Partito da Cagliari, era diretto verso le Baleari, ma sarebbe stato colpito e affondato, in un punto imprecisato, da un idrovolante alleato PBY Catalina. Secondo la versione ufficiale, nessun sopravvissuto: tutti morti i 57 uomini dell'equipaggio. La tesi dei tre archeosub è stata successivamente confermata da alcuni sommozzatori professionisti che, con fotografie e riprese subacque in alta definizione, hanno svelato anche alcuni particolari. Come la presenza di una saracinesca a stella, di fascette metalliche e perfino di ossa umane. Ma a trasformare quello che può sembrare un interessante e suggestivo ritrovamento subacqueo in un giallo è quello strato di cemento nel quale è stato "affogato" il sottomarino. E che si tratti di una malta cementizia è stato confermato anche da alcuni esami di laboratorio eseguiti a Forlì.

Qui comincia il mistero: chi ha voluto nascondere quel relitto che si trova a poche centinaia di metri dalla costa tra la scogliera di Is Benas e la spiaggia di Is Arenas? E soprattutto, perché? Si voleva forse occultare un segreto inconfessabile? La storia sarebbe probabilmente rimasta circoscritta a un confronto tra addetti ai lavori se, qualche mese fa, non l'avesse fatta emergere dal silenzio un giornalista oristanese, Andrea Atzori, con una serie di documentati servizi trasmessi sull'emittente Sardegna 1. Per la capitaneria di porto di Oristano, invece, non ci sono misteri: nei fondali di Is Benas non c'è alcun sottomarino. Dopo un sopralluogo ai primi di luglio con i sommozzatori della Guardia costiera e quelli della Marina militare, l'allora comandante della Capitaneria Alberto Ugga ha liquidato tutto con una dichiarazione laconica: «Non c'è nessun sottomarino. Si tratta di rocce, di una concrezione calcarea con una forma bizzarra che può anche sembrare la silhouette di un sommergibile». L'interrogazione. Ma l'interrogazione della deputata del Partito democratico Caterina Pes ha smosso le acque e, molto probabilmente, ha obbligato Capitaneria e Marina ad approfondire il caso. Dal 12 agosto fino a giovedì scorso, infatti, un tratto di mare davanti alla scogliera di Is Benas è stato "blindato".

L'ordinanza numero 22/2011 del 10 agosto ha disposto l'interdizione assoluta alla navigazione davanti alla scogliera di Is Benas per «indagini subacque». Sui risultati di oltre un mese di immersioni niente è ancora trapelato. Ma, ad agosto, ecco il colpo di scena. Si è infatti scoperto che due marinai del Veniero si erano salvati dal naufragio. Uno di loro, Gavino Congiu di Bottidda, aveva raccontato la sua storia nel 2007 in una videointervista pubblicata sul sito dell'Anmifg, l'Associazione nazionale mutilati e invalidi di guerra. Ecco che così il giallo si è maledettamente complicato. Prima di tutto perchè il nome di Congiu non compare nella lista degli uomini dell'equipaggio morti nel naufragio del Veniero II. Ma esistono documenti che provano il contrario. Che cioè Congiu, classe 1918, numero di matricola 47135, era imbarcato come sergente elettricista sul sommergibile scomparso nel giugno 1942. Si tratta di un'onorificenza rilasciata il 4 febbraio del'42 dal comandante in capo della squadra sommergibili, l'ammiraglio Antonio Legnani. Il documento certifica in modo incontrovertibile che Gavino Congiu, quattro mesi prima della crociera fatale, faceva parte dell'equipaggio del sottomarino scomparso.

La videointervista. Ma a chiarire ogni dubbio è stato proprio Gavino Congiu (deceduto nel 2009) nella videointervista del 2007. Ha raccontato infatti che era a bordo del Veniero II nel tragico viaggio verso le Baleari e ha parlato anche del naufragio. Per dire la verità, Gavino Congiu ha glissato sia sulle modalità dell'affondamento e sia sul suo salvataggio. «Non possiamo dire nulla, niente di niente - ha detto -. Solo che io e il secondo capo ci siamo salvati. E basta». Sembra quasi che volesse rispettare un dovere di segretezza a quasi 70 anni dal naufragio. Una riservatezza che ha mantenuto in tutti questi anni anche con i suoi familiari. Ha parlato invece diffusamente della vita a bordo del sottomarino, ricordando le missioni nell'Atlantico e l'affondamento nel 1940 del piroscafo greco Anastassia, di 2.883 tonnellate. Ha descritto anche il recupero di nove naufraghi del mercantile che vennero tenuti a bordo e trattati seguendo un rigoroso codice d'onore. Per esempio, nei pasti i prigionieri avevano la precedenza rispetto all'equipaggio. Ma il marinaio di Bottidda, che venne insignito nel 2000 dal presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi del titolo di commendatore, ha detto tre cose molto importanti. La prima è che i sopravvissuti del Veniero II furono due. Contraddicendo così in modo molto netto la versione ufficiale fornita dalle autorità militari. La seconda è che il sottomarino navigava seguendo una «rotta di sicurezza», cioè si trovava vicino alla costa sarda. La terza, infine, è che lui si salvò arrivando a degli scogli dove fu poi soccorso da alcuni pescatori e successivamente ricoverato a Cagliari.

Preziose certezze. In estrema sintesi, anche se non chiarisce le modalità dell'affondamento e lo scopo della missione, il racconto di Gavino Congiu fornisce una preziosa certezza: il Veniero II colò a picco molto vicino alle coste sarde. Un elemento che implicitamente rafforza la tesi degli archeosub. E cioè che, sotto quello spesso strato di cemento, sia nascosto proprio il relitto del Veniero II. L'impressione è che ci si trovi immersi in un mistero sospeso tra il passato e il presente. Tra la tragica fine di un sottomarino incaricato di una missione misteriosa nel corso della seconda guerra mondiale e un presente nel quale esiste ancora la volontà di nascondere qualcosa. Tanto da seppellire sotto il cemento quello scafo con il suo carico di morti. Un'operazione complessa e costosa. Ma anche rischiosa perché avrebbe potuto facilmente essere notata. Per avere una risposta non resta che attendere i risultati delle «investigazioni subacque» della Marina. Certo, le foto e i filmati realizzati nei fondali di Is Benas pongono dubbi agghiaccianti. Ma una cosa è certa: una massa di 77 metri non può essere fatta sparire nel nulla e perciò il mistero è destinato a essere svelato. Resta un ultimo interrogativo: e se sotto il cemento ci fosse davvero un sottomarino e quel relitto non fosse il Veniero II?

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