La Nuova Sardegna

La vendetta, così sono cambiati i vecchi codici

di Costantino Cossu
La vendetta, così sono cambiati i vecchi codici

Un gruppo di ricerca ad Austis e a Sedilo lavora con i pastori per capire quanto delle analisi di Pigliaru sopravvive nella Sardegna contemporanea

21 settembre 2012
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di Costantino Cossu

La vendetta per secoli in Sardegna è stata strumento di regolazione sociale: Antonio Pigliaru docet. Ma quanto è ancora così? Ad Austis e a Sedilo un gruppo di ricerca sta indagando per verificare se gli istituti giuridici descritti da Pigliaru continuino a persistere e se ci sia stata eventualmente un’ evoluzione di quelle strutture. La ricerca è cominciata pochi mesi fa con un'intervista a dieci pastori. Troppo presto per avere dati sui quali azzardareconclusioni. Del tema, però, s’è parlato lo scorso giugno ad Austis durante il convegno “Antropologia della vendetta”, organizzato dalla Pro Loco e dal Comune con il contributo della Fondazione Banco di Sardegna e dell'Elsa Cagliari (European Law Students Association). La direzione scientifica è stata affidata a Giuseppe Lorini, docente di Filosofia del diritto all'Università di Cagliari, e a Michelina Masia, docente di Sociologia sempre a Cagliari. Al convegno hanno parteciperanno studiosi provenienti da varie università italiane (Cagliari, Milano, Pavia, Torino, Trento e Urbino) e straniere (John Moores University di Liverpool, Universidad Veracruzana di Xalapa-Messico, Università di Danzica).

Con Giuseppe Lorini facciamo il punto della ricerca in corso ad Austis e a Sedilo e dei risultati del convegno.

Antropologia della vendetta, il titolo del convegno. Un primo spostamento rispetto alla classica analisi pigliariana: dalla filosofia del diritto alla antropologia. Con quali esiti?

«Con il convegno abbiamo voluto sottolineare l'altra anima della ricerca sulla vendetta di Antonio Pigliaru: accanto ad un’analisi teorica e astratta delle strutture giuridiche e della natura del diritto che contraddistingue la sua filosofia del diritto, v'è infatti anche un'analisi empirica che mira ad analizzare la società pastorale barbaricina ed il diritto non scritto che la caratterizza. Pigliaru non era il tipico studioso che lavora seduto ad un tavolo: era uno studioso che coniugava il pensiero con la ricerca sul campo. La sua ricerca filosofica si è nutrita dell'indagine antropologica. Fondamentali sono state le interviste ai pastori barbaricini. Ricordo che già nel 1966, sette anni dopo la sua pubblicazione, l'opera di Pigliaru “La vendetta barbaricina come ordinamento giuridico” appare censita nella prima grande bibliografia di antropologia giuridica curata tra gli altri da Laura Nader, professoressa di Antropologia del diritto all'Università di Berkeley. Gli esiti di questo spostamento mi sembrano siano stati più che positivi: si sono infatti aperte nuove direzioni d'indagine della pratica della vendetta. Particolarmente innovativa è, ad esempio, l'idea di indagare se la pratica della vendetta si estenda anche al mondo animale».

Un secondo spostamento: dalla Barbagia al mondo romano classico, al mondo scandinavo medievale e al diritto indiano arcaico. Perché?

«Pigliaru ha insistito molto sulla differenza tra le norme che regolano la vita dei pastori della Barbagia e le norme che regolano la vita di una società criminale, per sottolineare come f. osse profondamente erroneo etichettare la pratica della vendetta barbaricina come un fenomeno criminale. Considerava epistemologicamente erronea l'etichetta "banditismo sardo" per qualificare la pratiche della comunità pastorale barbaricina. Con il diritto pastorale barbaricino ci troviamo di fronte, secondo Pigliaru, ad un diritto che non ha uno scopo criminale. Esso ha l'unico scopo di regolare la vita di una comunità. Con questo convegno abbiamo voluto mostrare che però la vendetta barbaricina non è l'unico caso di una pratica della vendetta utilizzata a scopi non intrinsecamente criminali. Anzi vi sono molti diritti popolari non scritti che utilizzano la vendetta come strumento per infliggere una pena a coloro che violano le norme della comunità. Il mondo classico romano, il mondo scandinavo medievale, il diritto indiano arcaico sono ricchi di fenomeni analoghi alla vendetta barbaricina. Vorrei aggiungere due altri casi molto interessanti che meriterebbe di essere nominati: la vendetta nel Kanun albanese, il diritto popolare ancora vigente nelle montagne albanesi, e la vendetta nel mondo dei Samurai giapponesi. Da ciò emerge come la pratica della vendetta non sia un fenomeno circoscritto alla comunità pastorale barbaricina.

Certamente la diffusione dell'istituto della vendetta in così eterogenei diritti popolari sembra confortare l'ipotesi che provocatoriamente ho proposto all'inizio del convegno relativa all'esistenza di un universale antropologico della vendetta. La vendetta non sembra una pratica specifica all'ordinamento giuridico barbaricino. Anzi, la vendetta è uno strumento di pena che è spesso utilizzato dagli ordinamenti giuridici non statali, quelli che caratterizzano le società a potere diffuso e che quindi non hanno un organo specializzato che detiene il diritto all'uso della forza.

Che la vendetta sia una pratica diffusa in molti diritti popolari non ci deve però far perdere di vista il fatto che ogni specifica pratica della vendetta è connotata dalle proprie regole e dal sistema di valori all'interno del quale si situa. Ad esempio, per comprendere la vendetta barbaricina è imprescindibile la conoscenza della categoria dell'onore sulla quale si configura la categoria dell'offesa, elemento scatenante la vendetta. Altrettanto necessaria è l'indagine della figura del "balente"».

Esistono elementi che, al di là del tempo e dello spazio, possano definire la vendetta come universale antropologico?

«Non è facile ricostruire esaurientemente la struttura della vendetta come universale pragmatico. Certamente un elemento fondamentale sembra essere quello della reciprocità. Alla base della vendetta c'è il "principio di reciprocità" che ritroviamo nella famosa legge del taglione: "occhio per occhio e dente perdente", presente sia nel mondo giuridico mesopotamico, sia nel mondo giuridico ebraico. Ma il principio di reciprocità lo ritroviamo anche alla base del dono. Nel caso della vendetta, il principio di reciprocità detta di ricambiare il male con un analogo male. Nel caso del dono, il principio di reciprocità detta di ricambiare il bene con un analogo bene».

Gli istituti giuridici e l'antropologica della vendetta in che modo hanno condizionato il passaggio della Sardegna alla modernità?

«Non sono in grado di dire come la pratica della vendetta ed il diritto pastorale barbaricino abbiano condizionato l'economia della Barbagia nell'ultimo mezzo secolo. Certamente, dal punto di vista giuridico, il diritto barbaricino ha condizionato la vita delle comunità della Barbagia nel loro rapporto con il diritto statale italiano. Ciò che per l'ordinamento giuridico barbaricino è un atto dovuto, è un atto di giustizia, per l'ordinamento italiano è un reato. Da qui l'etichetta di "banditismo sardo" che Pigliaru combatte».

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