La Nuova Sardegna

«Il mio amico Senna, campione d’umanità»

di Fabio Canessa

Giorgio Terruzzi a Portoscuso per “Parole sotto la torre” Nel libro “Suite 200” racconta l’ultima notte del pilota

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«Un giorno Lucio Dalla, che ad Ayrton ha dedicato una canzone, mi ha detto: se tu chiedi a chiunque dov'era quando è morto Senna, se lo ricorda. È vero. Fu un pomeriggio, dentro un fine settimana la cui sceneggiatura poteva averla scritta Kubrick, di un'intensità drammatica incredibile». Da quel giorno sono passati vent’anni e per l’occasione Giorgio Terruzzi (giornalista, scrittore, autore televisivo) ha scritto “Suite 200. L'ultima notte di Ayrton Senna”. Un libro, presentato ieri a Portoscuso al festival “Parole sotto la torre”, di grande successo: «Dovuto, lo dico senza falsa modestia, a Senna - sottolinea Terruzzi - Al fatto che è rimasta non sola la memoria di un grande pilota, ma anche e soprattutto il ricordo di una figura particolare, umanissima e toccante».

A parte l'anniversario importante, cosa c'è dietro la nascita del libro?

«All’inizio, quando mi hanno chiesto di scrivere qualcosa per l'anniversario dei vent'anni, avevo risposto di no. Era un capitolo chiuso per me. Poi dopo qualche giorno ho fatto un sogno incredibile con Senna. Allora ho ripreso un po' le varie cose, mi sono commosso. Sono andato in quella stanza, dove ha passato la sua ultima notte. In quei giorni, in quelle ore, lui aveva a che fare con tante cose professionali e personali. E in qualche modo l'idea di costringere tutto nello spazio di una notte, in una stanza, mi è sembrata la cosa giusta da fare. Ho chiesto conforto a due amici comuni, Gerhard Berger e il suo fisioterapista Josef Leberer, e mi hanno spronato a scrivere il libro».

Come vi siete conosciuti?

«L’avevo incontrato in pista, nel suo primo anno di Formula1, nel 1984. Un mio caro amico poi in quel periodo aveva deciso di andare a vivere in Brasile e io pochi mesi dopo, per le vacanze di Natale, ero andato a trovarlo. Leggendo che anche Senna era tornato per le vacanze, lo chiamai al telefono, spiegandogli che ero un giornalista, che ci eravamo visti in pista. Mi invitò a casa sua a San Paolo. Oltre alla frequentazione da giornalista in pista, si sviluppò questo secondo livello più intimo».

Tutti lo ricordano con affetto. Cosa aveva di magico?

«Da una parte faceva cose molto lontane dalle nostre, un pilota di altissimo livello, con una ferocia agonistica persino sconcertante; dall’altra comunicava, parlava di se stesso come le persone comuni. I dubbi, le paure, le emozioni, il suo rapporto con Dio. Una grande umanità insomma. E poi è un eroe morto giovane e bello, davanti a tutti, in mondovisione. Questo conta, l'immagine rimane bloccata lì, non c'è l'invecchiamento, resta quella perfezione».

La Formula1 non è più la stessa. Mancano i piloti capaci di accendere la passione come Senna o cosa?

«Non mi piace fare quello che dice "ai miei tempi era meglio", però…».

Però?

«Prima di tutto c’è una tecnologia molto più raffinata, pesante nel determinare il destino delle corse. E poi è una generazione diversa. Senna era mio coetaneo. Si usa sempre twitter, ma non esiste il dialogo. Sono tutti meno portati alla comunicazione, non solo i piloti. È un po' diverso e meno divertente dal mio punto di vista, del nostro mestiere. Tutto è un po' standardizzato, fai fatica a parlare con le persone, ad avere una storia tua».

Per chi ha iniziato con Beppe Viola...

«Era un giornalismo da belle époque. Pieno di libertà e anche di cura. Molti pensano a Beppe per le sue parti divertenti, ma era anche un professionista serissimo, uno che faceva rifare i pezzi, limava le parole, gli attacchi, i finali. Lavorava come un matto sulla parola, convinto che la qualità della scrittura fosse determinante. Adesso mi sembra sempre un po' meno. C'è una comunicazione globalizzata con meno spazio per le storie, per raccontarle. Era in fondo un giornalismo connesso a un tempo in cui c'era un continuo stimolo al confronto, culturale, politico. Più di adesso. Era più semplice crescere litigando, discutendo, confrontandosi faccia a faccia. E questo modificava tutto i resto, compreso il giornalismo».

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