Salah: «Con i magistrati non parlo più»
Nuova strategia processuale del mancato kamikaze che spera nell’estradizione in Francia
ROMA. Salah Abdeslam, l’unico sopravvissuto alla strage di Parigi e arrestato a Bruxelles il 19 marzo scorso, ha deciso dopo gli attacchi all’aeroporto e alla metro di Bruxelles di «non parlare più con i magistrati». Dopo solo due interrogatori durati appena un’ora l’uno, davanti al procuratore federale, il terrorista più ricercato negli ultimi quattro mesi, conclude così quella che sembrava l’inizio di una “collaborazione”. Due ore piene, secondo gli inquirenti, di silenzi e menzogne. Salah ha negato di aver mai conosciuto i fratelli Khalid e Ibrahim El Bakraoui i kamikaze che tre giorni dopo il suo arresto si sono fatti esplodere all’aeroporto Zaventem e alla metro e ha raccontato la “sua” verità. Ammettendo, al momento, soltanto quello che non sfugge all’evidenza: il suo ruolo negli attentati di Parigi. Spiegando perché quella sera non si è ucciso come gli altri componenti del commando.
«Ho rinunciato a diventare kamikaze quando ho parcheggiato la macchina», si legge in uno stralcio dei verbali di Abdeslam apparsi sul quotidiano Le Monde. È la sera del 13 novembre e la strage al teatro Bataclan e per le vie di Parigi si è già compiuta: 130 i morti. Il commando dei terroristi si è fatto esplodere. Tranne uno: Salah. Suo fratello maggiore Brahim, invece, si è fatto saltare seminando la morte in boulevard Voltaire. Lui doveva uccidersi allo stadio, ma dopo aver lasciato i complici ci ripensa e fugge. «Dovevo entrare nello stadio come spettatore, ma sono andato a parcheggiare la macchina». In quel momento, dice, ho deciso di non morire.
«Ho guidato alla cieca, mi sono fermato da qualche parte, non saprei dove. Sono rientrato nella stazione Montrouge. Ho fatto qualche fermata di metro, poi in un negozio di telefoni, ne ho comprato uno e ho contattato Mohamed Amri». È lui l’amico che, insieme con Hamza Attou, partirà da Bruxelles per metterlo in salvo. Salah ha cercato di scaricare tutte le responsabilità sul fratello Brahim ritagliando invece per lui solo un ruolo di supporto logistico.
«Ho affittato solo auto e hotel su sua richiesta. Ogni volta che dovevo pagare cose per gli attentati, il denaro veniva da Brahim». Ha poi aggiunto di aver saputo del ruolo di Abdelhamid Abaaoud, mente della strage, solo due sere prima. «Ho visto Abaaoud a Charleroi la notte tra l’11 e il 12 novembre e quella è l’unica volta che l’ho incontrato». Una bugia secondo gli investigatori visto che i tre erano amici d’infanzia a Molenbeek dove sono cresciuti e avviati prima alla criminalità, poi al jihadismo. È stato sempre Brahim, secondo Salah a consegnargli la cintura che doveva farlo esplodere e che lui getterà. Ma Le Monde cita la testimonianza di Abid Aberkan il cugino che lo ha ospitato in rue des Quatre- Vents dove è stato arrestato che ha raccontato: «La cintura di Salah non aveva il liquido esplosivo». Ora Salah ha deciso di «non parlare più» e aspetta di essere estradato in Francia. Forse, solo una nuova strategia.