La Nuova Sardegna

Le Borse bruciano mille miliardi

di Andrea Di Stefano

Peggio dell’11 settembre. Milano maglia nera (-12,5%), perdite di oltre 20 punti per le banche

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ROMA. Quasi mille miliardi di euro. Tanto è costata la Brexit alle Borse europee in un venerdì nerissimo soprattutto per Piazza Affari, maglia nera assoluta con una perdita a due cifre (-12,5%), seguita da Madrid (-12,35%), Parigi (-8,04%), Francoforte (-6,82%) mentre Londra ha paradossalmente contenuto le perdite (-3,15% dopo aver aperto a -8%) che ha lasciato da sola sul terreno oltre 100 miliardi di sterline. Considerando tutti i listini, e non solo lo Stoxx Europe 600 (-637 miliardi), sono stati bruciati 960 miliardi. In caduta libera anche Wall Street dove a poco dalla chiusura il Dow Jones perdeva il 3,44% e il Nasdaq il 4,17%.

Le banche centrali sono intervenute di fronte al tonfo della sterlina sin dalle primissime contrattazioni. Banca centrale del Giappone, poi della Svizzera e la Bce hanno immesso centinaia di miliardi di liquidità mentre la sola Bank of England ha aperto i rubinetti iniettando 200 miliardi di sterline che hanno permesso alla valuta britannica di recuperare un po’ delle perdite dell’apertura. Alla fine della giornata da cardiopalma la moneta britannica ha chiuso a 1,3625 dollari, in calo di circa l’8% ma in recupero rispetto al minimo di giornata di 1,3228 dollari (-10%), la quotazione più bassa in 31 anni. Debole l’euro che ha chiuso in calo a 1,1124 dollari e 113,28 yen mentre la sterlina ha ridotto la svalutazione nei confronti della moneta unica ad un -6,12%. Gli interventi hanno sicuramente frenato la caduta ma non stati sufficienti a tranquillizzare le banche: ieri pomeriggio la Royal Bank of Scotland (che ha perso in Borsa il 18,2%) e la sua controllata NatWest hanno sospeso i servizi di cambio per i clienti sia nelle filiali che nell’online.

Il venerdì nero per le borse è stato ancora più nero a Piazza Affari. L’indice Ftse Mib, dopo aver faticato ad aprire, con buona parte dei titoli del listino principale, a partire dalle banche, incapaci di far prezzo, ha terminato col maggior calo di sempre (-12,48%). Peggio ha fatto solo Atene (-13,4%), ma in generale crolli di tale portata non si erano visti neanche l’11 settembre 2001 né a ottobre 2008 dopo il crack della Lehman Brothers.

Le quotazioni a fine giornata sono da bollettino di guerra con cali superiori al 20% per le maggiori banche: Bper -24,61%, Bpm -24,28%, Unicredit -23,79%, Banco -23,3%, Intesa -22,94%, Mediobanca -21,22%, Ubi 20,69 euro. Non va meglio ai grandi gruppi: Mediaset (-17,17%) e Telecom (-16,16%), Fca (-9,37%). Gli operatori si sono liberati di titoli di tutti i comparti lanciando un segnale di allarme sul ritorno di un rischio sfiducia nei confronti del sistema Paese, vulnerabile a causa del suo debito pubblico in caso di una possibile disgregazione dell’unione europea e dell’euro. Si è salvato lo spread, che ha chiuso a 160 punti sul Bund tedesco dopo aver aperto a quota 190, grazie alla rete di protezione del Qe della Bce.

Come nei momenti peggiori sono piovuti i comunicati dei grandi gruppi che cercano di rassicurare sugli effetti della Brexit. Il gruppo Generali non teme ripercussioni sulla propria operatività anche perché non ha «operazioni di rilievo in Inghilterra».

La fuga degli investitori da Londra è uno dei nodi che spaventano i mercati perché si tratta di un centro finanziario globale, uno status che assicura al Regno Unito 2,1 milioni di posti di lavoro e 66,5 miliardi di sterline di entrate fiscali l’anno, l’11% del totale. L’accordo tra le società che gestiscono le Borse di Londra (Milano) e Francoforte che era in dirittura d’arrivo viene già dato per morto a causa della Brexit che rende non più praticabile l’integrazione tra sistemi dentro e fuori l’Europa.

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