Luigi Donà dalle Rose: «Mare, cultura, bellezza: la mia ricetta per l’isola»
Il conte veneziano, fondatore di Porto Rotondo, racconta la sua Sardegna. «I politici degli anni Sessanta erano lungimiranti, oggi sono meno illuminati»
PORTO ROTONDO
Quando si parla di pionieri del turismo in Sardegna il suo nome viene sempre citato a fianco a quello dell’Aga Khan. Nel 1964 Luigi Donà dalle Rose, insieme al fratello Nicolò, creò dal nulla Porto Rotondo. Ma il conte veneziano, classe 1939, fu un pioniere del turismo isolano ben prima di realizzare il futuro borgo dei vip. Fu tra i primi a frequentare l’isola non appena si riuscì a debellare la malaria.
«Era il 1951, avevo solo 11 anni – ricorda Donà dalle Rose –. Mio padre portò me e mio fratello Nicolò con il motoveliero Maria Elena, un’imbarcazione che aveva acquistato e che d’inverno trasportava materiali edili da Viareggio a Olbia, per poi ripartire con prodotti sardi. Salpammo dalla Toscana e il primo attracco fu a Tavolara...».
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Che ricordo ha di quella prima volta in Sardegna?
«Non avevo mai visto tanti pesci in vita mia. Era una cosa inimmaginabile. Mio padre ci aveva regalato le prime pinne, le prime maschere e ci immergevamo nelle acque di Tavolara. Ricordo che in mezzo a tanti pesci trovammo anche un siluro che segnalammo alle forze dell’ordine».
Com’era la Sardegna di allora?
«C’era pochissimo, c’era Olbia, ma non esisteva un albergo. La Sardegna di quell’epoca era al novanta per cento pesca. Io e mio fratello eravamo grandi appassionati di subacquea. E infatti abbiamo iniziato a frequentare l’isola proprio per quello. Per dieci anni siamo venuti a pescare tra la Sardegna e la Corsica».
In quegli anni il turismo era ancora pochi eletti...
«Cominciavano a venire le prime barche perché non esisteva più il rischio malaria. Un giorno abbiamo raggiunto Gaetano Marzotto sulla sua barca. Sembrava un traghetto, tanto che gli fu requisito dai tedeschi durante la guerra. Con Marzotto eravamo cugini e ci siamo ritrovati davanti a Cala di Volpe. Poi ci siamo spostati fino al golfo di Cugnana e per la prima volta ho visto il promontorio su cui sarebbe sorta Porto Rotondo».
Fu allora che decise di investire in Sardegna?
«In realtà, io e mio fratello avevamo acquistato la penisola di Coluccia, a Santa Teresa. Erano gli anni in cui mio padre aveva due fabbriche di cemento a Sassari e Cagliari. I terreni costavano poco e ce lo vendettero per 20 milioni di lire. Ma la trattativa andò male perché avevamo avuto un problema con la barca e arrivammo un paio di giorni in ritardo per saldare il pagamento. Il proprietario l’aveva venduta a un altro, ma ci restituì i 10 milioni che noi avevamo dato come anticipo».
Quando nacque l’interesse per Porto Rotondo?
«Fu qualche anno dopo, perché a me e mio fratello piaceva l’idea di realizzare qualcosa di bello in Sardegna. Nei primi anni Sessanta Vittorio Cini, imprenditore, politico e filantropo, grande amico di mio padre, vedendo quello che stava realizzando l’Aga Khan con la Costa Smeralda, decise di comprare tutti i terreni su cui oggi c’è Porto Rotondo. Il primo investimento fu un albergo, l’Abi d’Oru. Ma l’anno che aprì rimase vuoto. Fu a quel punto che propose a noi di occuparci di questa parte di Sardegna. Fu trovato un accordo e prendemmo i terreni del porto per fare una nuova Portofino in Sardegna: una piazza, una chiesa e un porticciolo».
Un sogno diventato realtà.
«Sì, grazie al bellissimo progetto di questa polis firmato da Alessandro Pianon. All’inizio erano solo lotti di ville, più lo Sporting, che più che un hotel, con le sue appena 10 camere, era uno yacht club. Era un posto talmente affascinante che chiunque venisse se ne innamorava e decideva di prendere casa. Noi poi avevamo la fortuna di conoscere tanta gente...».
Un lunghissimo elenco di vip.
«Porto Rotondo si fece conoscere grazie a un forte passaparola tra artisti e imprenditori. A Ira Furstenberg regalammo il lotto su cui nacque la sua villa, proprio a ridosso della spiaggia che ora porta il suo nome. Il primo a prendere casa fu Philippe Leroy, ma poi arrivarono Virna Lisi, Monica Vitti, Antonioni, Gassman, Tognazzi, Villaggio, Gianni Morandi, Walter Chiari, Claudia Cardinale, Mogol, Shirley Bassey, Raquel Welch. Fu un successo pazzesco, tutti d’estate si ritrovavano a Porto Rotondo. In piazzetta San Marco come allo Sporting».
Quali sono i personaggi che più di tutti hanno segnato la storia del borgo?
«Penso a Carl Hahn (il signor Volkswagen, ndr), ad Aga Hruska, (il dentista di papi e re, ndr). A Umberto Agnelli, al principe Ruspoli, alle famiglie Bulgari, Barilla, alla indimenticabile Marta Marzotto. E a Krizia, grande donna di cultura che ha fatto tanto per Porto Rotondo».
E Berlusconi?
«È un uomo simpatico, intelligente, capace, creativo. Sono contento che sia tornato. Lui però Porto Rotondo la vive dentro casa sua. All’interno della Certosa ha creato anche un suo teatro. Questo fatto mi è sempre dispiaciuto un po’, perché lui potrebbe darci una grande mano».
In oltre 50 anni qual è stato il rapporto con la politica?
«All’inizio ho trovato grande sostegno. Sia io che Karim abbiamo avuto a che fare con sindaci lungimiranti. I politici di allora erano più illuminati di quelli di oggi, forse perché non contaminati».
Il migliore?
«Gian Piero Scanu, un vero politico perbene. Quando lui era sindaco di Olbia siamo riusciti a fare il teatro Ceroli. È sempre stato vicino a Porto Rotondo».
Come è cambiato il borgo negli anni?
«Lo zoccolo duro è rimasto, chi ha la villa ritorna. Purtroppo rispetto al passato c’è molta meno attenzione per il decoro pubblico».
L’arte e la cultura hanno un ruolo molto importante nella storia di Porto Rotondo.
«È per questo che dieci anni fa abbiamo voluto creare la Fondazione. Porto Rotondo è firmata da artisti come Ceroli, Cascella, Sangregorio, Chapelain. Quando uno viene in Sardegna vuole visitare Porto Rotondo perché ha un qualcosa in più rispetto ad altri luoghi: ha opere straordinarie. La chiesa di San Lorenzo è a mio avviso la più bella scultura realizzata in Italia negli ultimi 100 anni. Ogni anno vengono 20mila visitatori, ma arriveremo a 100mila all’anno. Il borgo è costruito come una città ideale, come la polis greca: la gente arriva dal mare nel porto, sale nel luogo di culto, si diverte nel teatro e si incontra nella piazza».
Qual è la funzione della Fondazione Porto Rotondo?
«Completare e conservare i gioielli del borgo. La piazzetta, la chiesa, via del Molo. E il teatro, che deve essere finito. Mi auguro il Comune ci aiuti. La Fondazione non ha scopo di lucro, io sono il presidente ma non mi faccio pagare neanche un biglietto aereo. Il suo unico obiettivo è favorire la cultura».
Tra i sogni che non si sono realizzati c’è la strada firmata da Pinuccio Sciola.
«Aveva già fatto il progetto, ero stato nel suo studio insieme con Emmanuel Chapelain. Voleva fare un cielo in terra, ma quando tutto era pronto si tirò indietro. “Non ce la faccio perché non sto bene”, mi disse. Sapeva già che stava per morire».
Lei è un pioniere del turismo in Sardegna: cosa manca all’isola per fare il salto di qualità?
«I trasporti dovrebbero costare molto meno. Prendere la nave dall’Italia alla Grecia è molto più conveniente. Da noi i traghetti costano quanto gli aerei. Che sono ugualmente troppo cari. È impensabile venire in Sardegna per un weekend. Serve una continuità vera. Aerei e navi dovrebbero avere gli stessi prezzi dei treni perché sono l’unico modo per raggiungere una terra che deve vivere di turismo. L’economia è viva se i ristoranti sono pieni a maggio, non solo ad agosto. Per questo motivo io auspico si facciano almeno 5 campi da golf. Uno non basta: se a Cortina ci fosse una sola pista non ci andrebbe nessuno».
Come vede Porto Rotondo tra 100 anni?
«Abbastanza immutata, anche perché non credo che riusciranno a costruire tutti quei metri cubi che certa politica vorrebbe realizzare».
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