La Nuova Sardegna

L'isola cambia ma non risolve i suoi problemi

Salvatore Mura

"L'irrisolta questione sarda" di Ruiu è la migliore sintesi a disposizione della storia della Sardegna dalla fine della Seconda guerra mondiale agli anni Novanta

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Soltanto due volte e per brevi periodi l'autonomia sembrò concretizzarsi e collegarsi a un ampio movimento popolare, e l'ultima volta fu negli anni Settanta. C'è poco per essere soddisfati, suggerisce implicitamente Sandro Ruju nel suo ultimo libro "L'irrisolta questione sarda. Economia, società e politica nel secondo Novecento" (appena pubblicato, edizioni della Cuec): si tratta della migliore sintesi a disposizione della storia della Sardegna dalla fine della seconda guerra mondiale agli anni Novanta. Ogni istituto scolastico, ogni famiglia sarda dovrebbe possederne una copia perché la lettura è davvero utile per capire il nostro recente passato e la Sardegna di oggi.

La ricerca di Ruju era già apparsa nell'insuperato - e forse, considerata la crisi attuale degli studi storici "insuperabile" - volume collettaneo "Le Regioni dall'Unità a oggi. La Sardegna", a cura di L. Berlinguer e A. Mattone (Einaudi, 1996), che ha avuto larga diffusione, ottime recensioni, ma il prezzo, le dimensioni, la metodologia e lo stile degli autori lo hanno destinato agli addetti ai lavori. Ora, in questa nuova veste, il saggio di Ruju (arricchito da una prefazione di Antonello Mattone e da un'aggiornata bibliografia finale) ha una sua totale autonomia, e acquista un significato in qualche misura "diverso" - oserei dire che acquisisce un più marcato significato "civile"- perché destinato a un pubblico più vasto. Per Ruju la questione sarda ha una sua specificità e non mai è stata risolta. C'è stata, però, l'ambizione di aggredirla almeno in due momenti - durante la mobilitazione per il "primo" e poi per il "secondo" Piano di rinascita -, ma in entrambi i casi gli esiti non hanno portato quei benefici che si attendevano. Alcuni grandi problemi dell'isola hanno resistito ai cambiamenti generali del mondo.

Certo non tutto è rimasto simile: ad esempio, la realtà economica del Sulcis e della Gallura è mutata profondamente, e Ruju lo spiega molto bene con dovizia di particolari. Ma la Sardegna interna soffriva negli anni Cinquanta e soffre oggi, così come erano (e ancora sono) un limite allo sviluppo, l'insufficienza dei trasporti, la nuova emigrazione, la cronica mancanza di iniziativa, la difficoltà del sistema economico di generare occupazione.

Intanto, però, la società sarda si è trasformata: sono mutati gli stili di vita e i consumi sono cresciuti sino a rassomigliare a quelli delle regioni più avanzate del paese. La peculiarità isolana, almeno sotto il profilo sociale, si è ridotta. Basti pensare al tasso di fecondità, che negli anni Cinquanta era il più alto d'Italia, mentre già nel 1990 era sotto la media nazionale. La società sarda ha dimostrato buone capacità di assorbire le novità - ha scoperto e fatto propria la cultura ambientalista - e ha superato mali storici (ha praticamente sconfitto il banditismo). È avvenuta, insomma, come ha sostenuto Giulio Sapelli, una sorta di "rivoluzione silenziosa".

La politica, invece, ha avuto tendenzialmente molta difficoltà a rinnovarsi sino in fondo: anche quando sono cambiati gli uomini e le linee politiche, come all'indomani dell'ascesa dei "giovani turchi", alcune pratiche hanno resistito - clientelismo e uso disinvolto delle risorse pubbliche. Ruju propone anche tesi forti e critiche radicali, soprattutto nei confronti della classe politica, a cui mi sentirei di riconoscere qualche merito in più.

Direi, fra l'altro, che un'importante tensione egualitaria muoveva allora la politica regionale: il diritto al lavoro attraverso l'ambizioso obiettivo della piena occupazione, l'accesso alla proprietà fondiaria e la cooperazione agricola, l'istruzione pubblica e il diritto allo studio, la sanità diffusa. Molti errori, sicuramente alcuni evitabili, ma la concentrazione della classe politica sulle esigenze di lavoro e di vita dei sardi mi pare un dato positivo, al quale forse è il caso di ripensare visto il canyon che si è aperto tra "popolo" e "politica". Sarebbe stato interessante leggere l'ultimo capitolo, quello che va dal 1998 al 2018. Auspichiamo che Ruju lo scriva.

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