La Nuova Sardegna

Grano senatore Cappelli l’Antitrust sanziona la Sis

di Antonello Palmas
Grano senatore Cappelli l’Antitrust sanziona la Sis

L’autorità garante del mercato: 150mila euro per scorrettezze nella vendita  Dal 2016 la società ha l’esclusiva della varietà riscoperta dai coltivatori di Tuili

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SASSARI. Tutte le contestazioni fatte a suo tempo dal Consorzio sardo grano Cappelli sono di fatto contenute nel provvedimento con cui L'Antitrust ha sanzionato l’emiliana Sis (Società Italiana Sementi) che detiene l'esclusiva sulla commercializzazione delle sementi della varietà, al termine di un procedimento istruttorio avviato lo scorso marzo: una prima importante vittoria morale dal sapore amaro per la piccola realtà sarda, che nel frattempo ha visto ridimensionare il miracolo creato partendo dal lavoro trentennale della ditta semenziera Selet di Tuili che riscoprì il seme, nei confronti del gigante del settore. Sis vinse nel 2016 un contestato bando firmando un contratto di licenza col Crea (l’ente di ricerca dedicato alle filiere agroalimentari vigilato dal ministero dell’agricoltura).

Sis, controllata da Bonifiche ferraresi, fatturato da 36 milioni di euro nel 2018, dovrà quindi pagare 150mila euro. Ovvero 50mila per ognuna delle tre distinte condotte dell'impresa ritenute contrarie alla disciplina delle relazioni commerciali in materia di cessione di prodotti agricoli e agroalimentari. Che sono le seguenti – spiega una nota dell'autorità garante della concorrenza: 1) aver subordinato la fornitura delle sementi alla riconsegna da parte dei coltivatori del grano prodotto, imponendo alle controparti un rapporto cosiddetto di filiera; 2) avere ritardato o addirittura rifiutato in maniera ingiustificatamente selettiva la fornitura delle sementi ai coltivatori; 3) avere aumentato in maniera significativa e ingiustificata i prezzi delle sementi. Alla denuncia all’Agcm di Confagricoltura si sono unite Cia, Copagri, Codici e GranoSalus.

L’Antitrust spiega l’azione intrapresa con «la profonda attenzione per la disciplina delle pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese nella filiera agro-alimentare, al fine di impedire che lo squilibrio tra le posizioni negoziali delle parti venga sfruttato per imporre al contraente debole condizioni inique. In questo caso, alle imprese agricole interessate a coltivare una varietà pregiata di grano duro». Insomma ha dato ragione al Consorzio sardo, ma nel frattempo il piccolo miracolo dei coltivatori e selezionatori del Campidano che hanno recuperato il seme abbandonato negli anni 60, ha ricevuto una botta tremenda proprio mentre stava cominciando a raccogliere i frutti del suo lavoro grazie anche a una filiera di un centinaio di aziende

Laura Accalai, presidente del Consorzio, non è sorpresa: «Il provvedimento era nell’aria dopo l’apertura dell’inchiesta. Avevamo visto bene, ma nella nostra dimensione ridotta non abbiamo potuto opporci. Le sanzioni? Non cambiano di molto la situazione e non possono risanare i danni provocati. Dai 1500 ettari coltivati siamo a un centinaio. Ora ci aspettiamo dell’altro, ben diverso sarebbe se il diritto di esclusiva venisse revocato dal Mipaaf. Dovrebbe essere il ministero a intervenire. Non è una questione puramente legale, ma soprattutto di carattere politico. Rimettere le cose in sesto non sarebbe facile, dopo tre annate agrarie non si trova più il prodotto. Hanno avuto carta bianca e questo è il risultato. Forse pensavano che fosse facile, ma i risultati commerciali si conquistano con la fiducia, che è tutta da conquistare. Abbiamo parlato con agricoltori che hanno accordi con Sis e ci dicono che è tutto fermo. Nel frattempo siamo tornati indietro di 30 anni».

Forti dubbi anche sulla effettiva valorizzazione della varietà, che pur di nicchia si stava conquistando apprezzamenti importanti: «A noi interessa lavorare per l’ambiente e la salute, non puramente per il business. In molti ci dicono che chi ha fatto contratti – spiega la Accalai – era richiesto obbligatoriamente un trattamento “nanizzante” per abbassare l’altezza delle spighe in modo che producessero di più. Insomma, non è più vista come la varietà originale e così tanti continuano a rivolgersi a noi, che pure non possiamo vendere col marchio Crea, dicendo: il vero grano Cappelli è il vostro. Sì, è vero, ce l’abbiamo, lo maciniamo ancora e non lo abbandoniamo, sarebbe come abbandonare un figlio. E siamo pronti a ripartire quando sarà possibile».

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