Renato Soru: «Regione green e smart, l’insularità è il passato»
L’ex governatore boccia il movimento che chiede la modifica della Costituzione: «Di difficile realizzazione e con vantaggi molto limitati. Meglio puntare al futuro»
SASSARI. Nessuna paura di mostrare il lato ruvido della verità. Renato Soru parte dalla lotta per ottenere l’insularità in Costituzione, e la boccia. E arriva alla Sardegna che dovrà essere tra 5 anni: smart e green.
L’ex governatore, e lui dice ex politico, ha un’idea di Sardegna che prende una rotta del tutto diversa dal principio di insularità. Soru punta dritto alla digitalizzazione, a un mondo sempre più interconnesso in cui la fisicità perde la sua importanza esistenziale. Il mondo economico oggi non si sposta sulle ruote dei tir, ma su un flusso ininterrotto di zero e uno.
Lei crede nel principio dell’insularità in Costituzione?
«No. Non credo sia necessaria. È molto più importante usare meglio l’autonomia che ci è stata data 70 anni fa e che oggi va aggiornata e messa al passo con i mutamenti globali».
Cosa non la convince?
«Per prima cosa non mi convince questa battaglia, perché è oggettivamente difficile modificare la costituzione italiana inserendo un principio di insularità che dia maggiori aiuti alla Sardegna. In Italia nessuno capirebbe perché. È evidente che tutto il Mezzogiorno sia in una fase di forte sofferenza e che oggi troviamo al contrario le regioni del Nord che si fanno avanti per ottenere parte di quella autonomia che la Sardegna ha avuto 70 anni fa. Lottare per modificare la Costituzione significa disperdere energie. È meglio concentrarsi su aspetti reali su partite che si possono chiudere subito».
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Lo statuto speciale secondo lei è ancora sufficiente?
«Il fatto di essere isola è stato riconosciuto alla Sardegna 70 anni fa. Grazie al lavoro di politici come Emilio Lussu. È stato riconosciuto il fatto di essere un’isola e di avere un ritardo di sviluppo rispetto ad altre parti d’Italia. E la Specialità vene garantita proprio per colmare questo ritardo e la distanza dalla terraferma. Quando venne redatta la Costituzione l’aviazione civile non esisteva. Oggi il mondo è diverso. Ecco perché sostengo che la battaglia per affermare il principio di insularità in Costituzione sia una battaglia di retroguardia. Un ribadire ciò che si era detto già 70 anni fa».
Dice che è inutile?
«Trovo pericoloso chiedere di riaffermare in Costituzione che la Sardegna in quanto isola si porti dietro un ritardo di sviluppo innato e mai colmabile se non per via di una costante assistenza. Quasi una scusa di tutte le classi dirigenti della Sardegna. Stiamo dicendo: “ Siamo un’isola e dobbiamo rassegnarci a questo stato di inferiorità”. Una sorta di autoassoluzione, ma noi al contrario dobbiamo spingere sul senso di responsabilità. Su quello che possiamo già fare. Ma vado oltre e dico che questo principio è diseducativo perché di fatto dice ai giovani che hanno avuto la malasorte di nascere in un’isola e per questo si portano dietro il fardello di una difficoltà maggiore rispetto ai coetanei del continente».
Parla di battaglia di retroguardia?
«Certo, la battaglia sull’insularità è uno slogan vecchio, che non si adatta a un tempo cambiato. La Sardegna e il mondo di oggi non sono gli stessi di 70 anni fa. Il tema oggi è come metterci al passo e cogliere le opportunità di questo cambio, non lamentarci che siamo un’isola. Negli anni ’50 c’erano le buche delle lettere separate: Sardegna, Continente. Si imbucava la propria missiva con la speranza che sarebbe arrivata prima o poi. Oggi è il tempo della immediatezza di una mail o di un whatsapp. E questa trasformazione vale per gran parte delle abitudini o necessità quotidiane. Già oggi in alcuni paesi del Nord Europa il 40 per cento del reddito nazionale è prodotto dall’economia digitale. Dalla produzione di software, apparati tecnologici, robot, oltre a tutti i lavori creativi che si fanno e vengono distribuiti grazie alla innovazione tecnologica e a internet. Pensiamo a tutti i contenuti on line, film ai videogiochi, strumenti di lavoro, analisi, ricerca. In Cina questa valore ha già superato il 50 per cento. Ma se consideriamo anche il valore dell'ecommerce, che vediamo entrare sempre di più anche nelle nostre case, questo valore sale ulteriormente. Per Questi mercati essere un isola, purché in rete, è del tutto in differente».
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Pensa che questo riguardi la Sardegna?
«Certo. Il ritardo di sviluppo non è più imputabile all'insularità, è nel ritardo del nostro pensiero. Si guarda al mondo di ieri e non al futuro. Il futuro è legato alle intelligenze che sono distribuite ovunque. Anche nelle isole. Il più grande motore di sviluppo oggi è la conoscenza, il sapere. È questo che dà la possibilità di lavoro. Anche in Sardegna chi ha sufficiente istruzione e competenze che possono essere spese in questo mondo cambiato, troverà un lavoro o lo creerà per se stesso e per altri. Viceversa, chi non ha competenze sufficienti non solo sconterà la mancanza di un lavoro ma purtroppo diventerà addirittura difficilmente occupabile, in Sardegna come altrove».
È la chiave?
«Io dico che è giusto pensare nell’oggi e prepare i giovani perché siano pronti per il futuro, considerando che gran parte dei mestieri di oggi non esisteranno tra 20 anni».
Ma l’economia dell’isola oggi è fatta di agricoltura e pastorizia.
«È vero. Pensiamo all’agricoltura. Molti sostengono che il problema dell’agricoltura sarda sia il fatto che siamo un’isola ed esportare costi troppo. Ma basti pensare che noi importiamo l’80 per cento dei prodotti agricoli che consumiamo, per capire che il problema non è nel costo dei trasporti ma nell'incapacità di produrre addirittura quanto serve a noi stessi. I trasporti non impediscono al pecorino romano di essere venduto negli Stati Uniti, il problema di quel comparto sta in ben altre ragioni».
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Qual è la via?
«Dal ritardo in agricoltura non usciremo rivendicando il principio di insularità. Dobbiamo creare modelli nuovi. Integrare la produzione agricola con la trasformazione alimentare, favorire la crescita delle dimensioni aziendali o almeno della cooperazione nella ricerca di nuovi canali di distribuzione, anche on line. Questa è il tempo del food tech, della tracciabilità dei prodotti, della ricerca sulla qualità degli alimenti. I vini sardi sono diventati di grande qualità proprio perché si è investito in ricerca e tecnologia. Anche i caseifici migliori sono quelli che hanno investito in innovazione tecnologica».
Certo ma i trasporti in Sardegna restano un disastro.
«Per questo è necessario usare meglio l’autonomia. Quella che abbiamo oggi si basa su materie di 70 anni fa. Agricoltura e Pesca (ormai di fatto competenza di Bruxelles), miniere, trasporti interni etc. Oggi dobbiamo allargare queste competenze a iniziare dalla competenza su i trasporti da e per la Sardegna, e quindi la capacità di negoziare direttamente, dentro regole ormai europee, i bandi per la continuità territoriale aerea e marittima. Altrettanto, come spesso reclamato, è tempo che passino direttamente alla Sardegna le competenze per le infrastrutture viarie che l'Anas ha mostrato di non saper gestire con la necessaria efficacia. Il mare può ormai essere superato agevolmente attraverso un sistema di trasporti ben organizzato. Dell'insularità ci rimangono solo i vantaggi, la grande qualità ambientale e paesaggistica, il patrimonio culturale. Oggi dobbiamo essere consapevoli di questi vantaggi e concentrarci su come eliminare in fretta i disagi che ancora esistono. Dobbiamo reclamare le competenze sulla continuità aerea e marittima. Il fatto che non abbiamo deciso noi sulla Convenzione e che la privatizzazione nel 2009 della Tirrenia si sia trasformata in una privatizzazione delle rotte è inaccettabile. Giustamente la Regione reclama più peso. E spero che qualche parlamentare sardo faccia una proposta di legge che sostenga le rivendicazioni dell’isola».
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Qual è il futuro?
«Se dovessi immaginare e mettere in sintonia un progetto di sviluppo della Sardegna utilizzerei due concetti chiave che sono già la linea tracciata dall’Europa: smart e green. È la direzione verso cui andare. Per quanto riguarda il green siamo fortunati, lo abbiamo più degli altri. Abbiamo una grande qualità ambientale. È vero ci sono aree oggetto di deindustrializzazione che hanno bisogno di essere bonificate così come gravami militari da ridurre. Ma per il resto la nostra qualità ambientale e paesaggistica diventa salute, qualità di vita, del cibo, dell’aria. Diventa opportunità per un turismo diffuso e capace di accogliere tutto l'anno. Diventa la terra su cui produrre prodotti buoni e giusti capaci di garantire lavoro di cui essere orgogliosi e raggiungere mercati anche lontani. Ecco perché ci si deve concentrare su come tutelare l’ambiente e non continuare a metterlo a rischio. L’altra parola chiave è smart. Che è un termine per indicare la semplificazione della vita legata alla innovazione tecnologica. Se si pensa alla grande trasformazione a cui abbiamo assistito in questi anni dovrebbe essere facile comprendere la dimensione dei cambiamenti che ci aspettano nei prossimi vent'anni. Ecco perché si deve puntare sulla competenze e sull’intelligenza dei nostri giovani, perché siano futuri cittadini a pieno titolo, capaci di vivere, anche in Sardegna, da protagonisti nel mondo di oggi e dei prossimi decenni».
Un futuro green e smart, ma senza energia.
«L'energia pulita è il regalo, la risorsa, che non sapevamo di avere e che dobbiamo mettere al servizio della tutela ambientale, della competitività delle nostre aziende e del risparmio delle nostre famiglie. Enel nel suo piano industriale ha annunciato i giorni scorsi che raggiungerà nei prossimi anni il 66 per cento dell’energia prodotta da fonti rinnovabili. Sole, vento, acqua. Tutte cose che abbiamo in grande abbondanza in Sardegna. L’isola si scopre ricca di fonti energetiche pulite. Un ulteriore prospettiva di prosperità per la Sardegna. Ecco che l’essere isola non è una malasorte. Basta guardare al futuro e non arroccarsi con battaglie di retroguardia nel passato».
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