«Errore grossolano, diffidiamo l’Inps»
Parla l’avvocato del commerciante di 55 anni che secondo l’istituto è morto
2 MINUTI DI LETTURA
SASSARI. Investiti da un’ondata di telefonate e messaggi arrivati da tv e quotidiani nazionali. Una valanga di “attenzioni” che Alberto La Spina e sua moglie Marilena non avrebbero mai immaginato di suscitare.
In effetti il caso del commerciante sassarese di 55 anni, deceduto per l’Inps ma in realtà vivo e vegeto, è abbastanza singolare nel panorama delle bizzarre storie che spesso la burocrazia riserva. Anche perché, mentre l’Istituto di previdenza tenta di incolpare il Comune di Sassari, quest’ultimo sfodera una carta inconfutabile: il certificato di esistenza in vita. «Per noi è vivo, non abbiamo nulla da dire». E infatti nessuna dichiarazione proviene dall’ufficio anagrafe: per loro quel documento ha più voce di mille parole. Così come ce l’hanno l’iscrizione di La Spina nelle liste elettorali e il regolare pagamento di tributi e contributi, questi ultimi proprio all’Inps.
La scoperta del finto decesso era venuta fuori quando l’uomo, titolare di un negozio di arredamento, era andato al patronato per chiedere il rateo della tredicesima della mamma defunta. L’impiegata, non appena inseriti i dati sul terminale per inoltrare la richiesta, lo aveva guardato come si guarda un fantasma. «Ma lei è morto» gli aveva detto incredula. Figurarsi lui, quando aveva scoperto di esser deceduto senza saperlo il 10 ottobre del 2020. Pratica interrotta, impossibile andare avanti. Da lì è stato un susseguirsi di telefonate agli uffici dell’Inps che ancora non sono riusciti a sbrogliare la matassa.
«Sì, ho incontrato oggi il mio cliente e per fortuna non è stata necessaria una seduta spiritica» scherza per un istante l’avvocato Paolo Gallizzi cui si è rivolto Alberto La Spina. I toni si fanno seri subito dopo: «Faremo una diffida all’Inps. Oltretutto il mio assistito è iscritto alla cassa commercianti dell’Inps dove versa i contributi. Non sappiamo cosa potrebbe accadere un domani se questo equivoco non verrà risolto».
Il passo successivo, qualora non dovesse ottenere risposta nei prossimi giorni, sarà fare causa all’istituto. «Io sono convinto che l’errore sia proprio dell’essere umano – aggiunge l’avvocato Gallizzi – e questo è un caso tipico. Ma ciò che non si può tollerare è l’insistenza nel voler dare la colpa ad altri. Chi ci rimette, alla fine di questo rimpallo di responsabilità, è sempre il contribuente». (na.co.)
In effetti il caso del commerciante sassarese di 55 anni, deceduto per l’Inps ma in realtà vivo e vegeto, è abbastanza singolare nel panorama delle bizzarre storie che spesso la burocrazia riserva. Anche perché, mentre l’Istituto di previdenza tenta di incolpare il Comune di Sassari, quest’ultimo sfodera una carta inconfutabile: il certificato di esistenza in vita. «Per noi è vivo, non abbiamo nulla da dire». E infatti nessuna dichiarazione proviene dall’ufficio anagrafe: per loro quel documento ha più voce di mille parole. Così come ce l’hanno l’iscrizione di La Spina nelle liste elettorali e il regolare pagamento di tributi e contributi, questi ultimi proprio all’Inps.
La scoperta del finto decesso era venuta fuori quando l’uomo, titolare di un negozio di arredamento, era andato al patronato per chiedere il rateo della tredicesima della mamma defunta. L’impiegata, non appena inseriti i dati sul terminale per inoltrare la richiesta, lo aveva guardato come si guarda un fantasma. «Ma lei è morto» gli aveva detto incredula. Figurarsi lui, quando aveva scoperto di esser deceduto senza saperlo il 10 ottobre del 2020. Pratica interrotta, impossibile andare avanti. Da lì è stato un susseguirsi di telefonate agli uffici dell’Inps che ancora non sono riusciti a sbrogliare la matassa.
«Sì, ho incontrato oggi il mio cliente e per fortuna non è stata necessaria una seduta spiritica» scherza per un istante l’avvocato Paolo Gallizzi cui si è rivolto Alberto La Spina. I toni si fanno seri subito dopo: «Faremo una diffida all’Inps. Oltretutto il mio assistito è iscritto alla cassa commercianti dell’Inps dove versa i contributi. Non sappiamo cosa potrebbe accadere un domani se questo equivoco non verrà risolto».
Il passo successivo, qualora non dovesse ottenere risposta nei prossimi giorni, sarà fare causa all’istituto. «Io sono convinto che l’errore sia proprio dell’essere umano – aggiunge l’avvocato Gallizzi – e questo è un caso tipico. Ma ciò che non si può tollerare è l’insistenza nel voler dare la colpa ad altri. Chi ci rimette, alla fine di questo rimpallo di responsabilità, è sempre il contribuente». (na.co.)