Abuso di alcol tra i giovani sardi: «Sballo e autolesionismo mitizzati sui social network»
di Claudio Zoccheddu
L’allarme dello psicologo: «I ragazzini emulano le star del web e delle serie tv». «Ubriacarsi è diventato un valore e la devianza status sociale da condividere»
3 MINUTI DI LETTURA
SASSARI. Bere fino non reggersi in piedi, e farlo nel minor tempo possibile per “vincere” la sfida del gomito più alto e veloce. Fumare come ciminiere, meglio se oltre alla nicotina c’è anche l’hashish o la marijuana. Ma anche atteggiarsi a divi dei social, replicare gli atteggiamenti degli influencer del momento, meglio se condividendo sui social foto e video che non sembrano arrivare dall’album della cresima. E poi risse, corse in ambulanza verso l’ospedale e verso la lavanda gastrica più vicina, gogne social. Tutto a 12, 13, 14 anni. La moda dello sballo non è una novità ma ultimamente fa proseliti in un pubblico sempre più giovane. La situazione, soprattutto nelle città, rischia di andare fuori controllo. Perché non si tratta di episodi singoli ma di comportamenti ripetuti. E ripetitivi. Le condanne, poi, hanno lo stesso effetto delle chiacchiere controvento: non le sente nessuno. Resistono anche gli accusatori vecchia scuola, quelli che “è colpa delle famiglie che non educano i figli”. Ebbene, non è così. Non sempre.
L’esperto. Luca Pisano, psicologo, affronta da anni i problemi dei giovani. A dicembre dello scorso anno ha deciso di andare incontro ai ragazzini che ogni notte invadono uno dei quartieri storici di Cagliari, Marina, in veste di “educatore di strada”. Insieme ad un gruppo di volontari ha battuto le strade della baby movida per provare a spiegare i rischi che corrono i giovanissimi quando incontrano troppo frequentemente il mondo delle sbornie o quello dello sballo in generale: «Molti dicono che la colpa è della pandemia. Non è vero, non del tutto – spiega Pisano –. Il lockdown ha portato in dote ai ragazzi una serie di vissuti ansiosi e depressivi che hanno favorito le manifestazioni di questo tipo di condotte, ma il problema è più datato. Sono almeno 7-8 anni che i giovani sono finiti in questa spirale. Non tutti, chiaramente, ma gli episodi sono moltissimi». Le cause di questo movimento autodistruttivo arrivano dagli schermi: «Gioca un ruolo fondamentale la sub cultura digitale – continua Pisano –. I ragazzi hanno accesso a tanti “contenitori” diversi ma con contenuti uguali. Trasgressione e devianza sono ormai pilastri dei social network, delle serie tv, degli anime, dei manga, dei videogiochi ma sono temi spinti anche dagli youtuber, dagli streamer e dai musicisti rap, trapper e reggaeton. I ragazzi arrivano a questi contenuti quando ancora non hanno sviluppato tutte le capacità cognitive, il loro cervello è più emotivo e meno analitico del nostro. Ed è assolutamente normale, lo sviluppo si conclude più tardi». Ma gli effetti pratici sono devastanti: «Le serie tv raccontano la criminalità e la criminalità diventa un valore. Anche esagerare diventa un valore, altrettanto stordirsi con alcol e droghe. Lo fanno i personaggi delle serie tv, quelli dei videogame. Loro sono “fighi” e i ragazzi cercano di emularli senza pensare alle conseguenze». E oltre ai gruppetti di sballoni, compaiono le baby gang, perché la violenza diventa uno status positivo al contrario della giustizia, vissuta come un disvalore. Ma la droga, i film violenti e la musica da gangster non è un’esclusiva della generazione Z, cioè dei nati tra il 1995 e il 2010. Anche i boomer (i nati prima del 1981) hanno fatto in tempo ad incontrarla: «Vero – commenta Pisano – ma i contenuti di questo tipo erano pochi e spesso difficili da raggiungere. Ora sono ovunque e basta un click sullo smartphone per visualizzarli. E così le ragazzine subiscono la misoginia del reggaeton e iniziano a rappresentarsi come le donne che vedono nei video. Per non parlare dell’autolesionismo: molti giovanissimi sono convinti di poter controllare gli effetti di alcol e droghe. Non è così e il rischio è che se accorgano troppo tardi».
L’esperto. Luca Pisano, psicologo, affronta da anni i problemi dei giovani. A dicembre dello scorso anno ha deciso di andare incontro ai ragazzini che ogni notte invadono uno dei quartieri storici di Cagliari, Marina, in veste di “educatore di strada”. Insieme ad un gruppo di volontari ha battuto le strade della baby movida per provare a spiegare i rischi che corrono i giovanissimi quando incontrano troppo frequentemente il mondo delle sbornie o quello dello sballo in generale: «Molti dicono che la colpa è della pandemia. Non è vero, non del tutto – spiega Pisano –. Il lockdown ha portato in dote ai ragazzi una serie di vissuti ansiosi e depressivi che hanno favorito le manifestazioni di questo tipo di condotte, ma il problema è più datato. Sono almeno 7-8 anni che i giovani sono finiti in questa spirale. Non tutti, chiaramente, ma gli episodi sono moltissimi». Le cause di questo movimento autodistruttivo arrivano dagli schermi: «Gioca un ruolo fondamentale la sub cultura digitale – continua Pisano –. I ragazzi hanno accesso a tanti “contenitori” diversi ma con contenuti uguali. Trasgressione e devianza sono ormai pilastri dei social network, delle serie tv, degli anime, dei manga, dei videogiochi ma sono temi spinti anche dagli youtuber, dagli streamer e dai musicisti rap, trapper e reggaeton. I ragazzi arrivano a questi contenuti quando ancora non hanno sviluppato tutte le capacità cognitive, il loro cervello è più emotivo e meno analitico del nostro. Ed è assolutamente normale, lo sviluppo si conclude più tardi». Ma gli effetti pratici sono devastanti: «Le serie tv raccontano la criminalità e la criminalità diventa un valore. Anche esagerare diventa un valore, altrettanto stordirsi con alcol e droghe. Lo fanno i personaggi delle serie tv, quelli dei videogame. Loro sono “fighi” e i ragazzi cercano di emularli senza pensare alle conseguenze». E oltre ai gruppetti di sballoni, compaiono le baby gang, perché la violenza diventa uno status positivo al contrario della giustizia, vissuta come un disvalore. Ma la droga, i film violenti e la musica da gangster non è un’esclusiva della generazione Z, cioè dei nati tra il 1995 e il 2010. Anche i boomer (i nati prima del 1981) hanno fatto in tempo ad incontrarla: «Vero – commenta Pisano – ma i contenuti di questo tipo erano pochi e spesso difficili da raggiungere. Ora sono ovunque e basta un click sullo smartphone per visualizzarli. E così le ragazzine subiscono la misoginia del reggaeton e iniziano a rappresentarsi come le donne che vedono nei video. Per non parlare dell’autolesionismo: molti giovanissimi sono convinti di poter controllare gli effetti di alcol e droghe. Non è così e il rischio è che se accorgano troppo tardi».