La Nuova Sardegna

Montiferru dimenticato, dopo i roghi l’immobilismo

Andrea Sini
Montiferru dimenticato, dopo i roghi l’immobilismo

Nessun piano concreto nelle zone devastate dagli incendi del 2021

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CUGLIERI. La vista dell’olivastro millenario di Sa Tanca Manna fa male al cuore. Ciò che resta dell’albero simbolo del Montiferru giace senza vita all’interno del suo piccolo podere recintato, con le sembianze di una gigantesca piovra carbonizzata. Il fusto, che aveva una circonferenza di oltre 10 metri, è completamente svuotato, i rami crollati sono ora soltanto lunghi tentacoli scuri adagiati sul terreno.

Ancora oggi, a quasi un anno dal devastante incendio che ha ridotto in cenere quasi 20 mila ettari tra Montiferru, Marghine e Planargia, l’olivastro incarna in maniera perfetta l’essenza di questo territorio: rigoglioso e prospero come un miracolo della natura sino all’estate dello scorso anno, carbonizzato, isolato e praticamente senza vita dal 24-25 luglio 2021.

Riflettori spenti. Da quelle maledette 48 ore che hanno segnato pesantemente la storia di quest’area della Sardegna poco è nulla è cambiato. Passata l’onda di emozione collettiva, superate le settimane della mobilitazione e della grande solidarietà, questi piccoli centri sono stati sostanzialmente lasciati al loro destino. Cuglieri, Sennariolo, Scano Montiferro, Tresnuraghes e tutte le zone circostanti, ognuno con le proprie peculiarità e le proprie ferite, hanno visto uno dopo l’altro spegnersi i riflettori dell’opinione pubblica e della politica a tutti i livelli. Gli interventi promessi in tempo zero, i canali privilegiati per finanziamenti e i progetti per la ripartenza si sono quasi immediatamente istruiti, se non chiusi. Anche perché qui, dopo il fuoco è arrivata l’acqua, con l’alluvione dello scorso inverno che ha causato ulteriori danni.

Economia in fumo. «Vedi quel terreno abbandonato pieno di erbacce e di tronchi carbonizzati? Un tempo quello era chiamato “il giardino”, era l’oliveto più bello e produttivo della zona, curato come un orto». Antonio Motzo si sporge dal finestrino del suo fuoristrada per indicare uno degli epicentri del disastro. Bancario in pensione, ex amministratore pubblico del comune di Cuglieri, ora dirigente della locale squadra di calcio, guida con le lacrime agli occhi attraverso i terreni mangiati dal fuoco e ora abbandonati. «Tutto questo prima era linfa per la comunità – dice –. Era lavoro per potatori, manutentori, raccoglitori di olive che trovavano impiego anche per 8-9 mesi l’anno. Senza considerare l’indotto legato alla produzione dell’olio. Ora non è rimasto che qualche oliveto produttivo dalla parte del mare. «La maggior parte degli alberi sono morti, qualcuno ha provato recuperare qualche pianta o a piantumare. Molti altri invece si sono arresi».

Gli aiuti virtuali. Gli aiuti promessi, a parte qualche piccolo “regalo” (la curia ha fornito aiuti a pioggia), sostanzialmente qui non li ha visti nessuno. In tanti, sconfortati dal fatto di non poter più raccogliere le olive, hanno rinunciato persino a pulire i terreni dalle erbacce, con un pericolo evidente per il futuro. Ma il futuro qui non sembra esistere. «Per ricostruire tutto il patrimonio olivicolo servirebbe almeno un decennio – dicono in paese –, e ancora non si è neppure iniziato. Senza contare che il patrimonio che è andato in cenere era composto nella quasi totalità da piante di 30-50 anni, quando non di 100. Le avevano piantate i nostri nonni, i nostri padri, ci abbiamo lavorato tutti. Erano sostentamento ma anche cultura, identità. E ora non è rimasto nulla, né nulla si vede all’orizzonte».

Tra oliveti e pascoli. Ai pastori, in linea assolutamente generale, è andata un pochino meglio: oltre al foraggio arrivato in grande quantità nell’immediatezza dell’emergenza, c’è stata la prospettiva di poter ripartire praticamente subito. Perché in fondo l’erba ricresce e gli animali, in qualche modo, attraverso gli aiuti possono essere riacquistati. Il fatto è però che aiuti se ne sono visti pochi (in molti hanno avuto danni strutturali agli ovili), mentre per quanto riguarda le colture olivicole, come detto, per rimettere in piedi la produzione servono 10-15 anni. «E al momento – dicono – non siamo neppure all’anno zero».

La montagna ferita. Dalle colline attorno a Cuglieri il cielo è talmente limpido che l’occhio si spinge a sinistra – cioè a sud ovest – verso la spiaggia di Is Arena e la penisola del Sinis, a destra a Capo Marrargiu e oltre, addirittura sino al profilo di Capo Caccia. Tutto intorno, distese sconfinate di ulivi e sugherete incenerite, dove solo l’erba non ancora ingiallita regala un po’ di colore. Risalendo verso Casteddu Etzu, in direzione Santu Lussurgiu, alcun i boschi un tempo lussureggianti sono a loro volta ridotti a scheletri, mentre altri tratti sono stati risparmiati. Tutto è come sospeso, come un orologio fermatosi tra il 24 e il 25 luglio del 2021. Quasi un anno dopo, il Montiferru ha quasi perso la speranza.

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