Gauf: se il fuoco è il migliore alleato per spegnere i grossi incendi
I ranger della Forestale utilizzano l’antica tecnica del “controfuoco”
Sassari Quando il fuoco fa davvero paura e tutti scappano, gli agenti del Gauf gli vanno incontro. E lo affrontano da pari a pari, con l’arma più efficace per spegnerlo, che non è l’acqua, ma il fuoco stesso. «Ci hanno sempre insegnato che le fiamme sono il male, mentre l’acqua è il bene. Da quando siamo piccoli vediamo Bambi che fugge nella foresta che brucia. Cresciamo in un paradigma distorto, da ambientalismo da salotto: il fuoco, in realtà, è un elemento della natura, non va demonizzato perché può diventare il nostro più grande alleato». Franco Casula, 48 anni, sassarese, è una guardia forestale esperta e fa parte del Gruppo di Analisi e Uso del Fuoco. Quelli che fino a qualche anno fa venivano chiamati anche i “mastros de fogu”, e che intervengono ogni qual volta il rogo assume proporzioni allarmanti.
Il controfuoco «Una tecnica che usiamo spesso è quella del controfuoco. Non l’abbiamo inventata noi, sono gli stessi pastori a usarla da secoli, a padroneggiarla. E noi l’abbiamo perfezionata anche grazie alla loro “maestria” e insegnamenti». Funziona così: «L’incendio, specialmente quando è grosso, richiama aria a sé. Te ne accorgi quando si avvicina, e cominci ad avvertire quel vento caldo che ti avvolge. È una sorta di effetto camino, che noi sfruttiamo. In pratica blocchiamo l’avanzata appiccando davanti al rogo un altro rogo. Se abbiamo il tempo facciamo il così detto ancoraggio, cioè bagniamo la zona retrostante in modo che le fiamme possano solo avanzare. Ma se abbiamo pochi minuti per intervenire, allora incendiamo la vegetazione al momento giusto, quando l’incendio è abbastanza vicino, cioè a una ventina di metri, e crea quella depressione capace di aspirare verso di sé il nostro rogo. Non devi innescare la miccia troppo presto, altrimenti il vento spingerà il fuoco nella direzione sbagliata». Le fiamme appiccate dai forestali all’inizio sono alte pochi centimetri, ma in pochi secondi crescono, e quando si infrangono con l’altra onda di fuoco sono già una barriera capace di neutralizzarlo. «Il controfuoco mangia tutto il materiale combustibile, l’incendio non ha più di che alimentarsi e muore». È una conoscenza che non si improvvisa, bisogna saper leggere il territorio per prevedere la propagazione del fuoco.
«Ittiri, Ossi, Uri, Usini, Tissi, Putifigari. Li conosco come le mie tasche. E così ogni collega padroneggia la sua area di pertinenza. So se quel terreno è arato, so dove porta quel sentiero, come si accede alla proprietà di Piras, se ci sono alberi o sterpaglie. E so anche dove aspettare e intercettare il fuoco che avanza».
Incendio di Bottidda. «Era il 20 luglio, dalla strada ho visto la fumata. Era una colonna bianca, di pascolo, perché gli alberi sono più idratati e il fumo in quel caso diventa scuro. E poi la colonna era dritta, dunque con poco vento. In questi casi bisogna essere veloci, perché non c’è una vera e propria testa e la propagazione avviene a cerchio, con un perimetro che ogni cento metri di avanzata raddoppia. Abbiamo appiccato un controfuoco, una fascia di 150 metri ciascuno, correndo come Bolt, con le torce che scaricano gasolio e benzina completamente aperte». Per applicare il controfuoco però occorre tanta esperienza: «È come uno specializzando che all’inizio entra in sala operatoria per le appendiciti, e solo dopo anni è in grado di intervenire su un ferito grave al pronto soccorso. Ecco, il controfuoco è come la chirurgia di urgenza».
Fuoco prescritto L’apprendistato invece è il “fuoco prescritto”. Una pratica antica, che menzionava anche Eleonora d’Arborea nel 1392 nella Carta De Logu, fornendo le prescrizioni per gli abbruciamenti programmati, su come usarli, e sulle sanzioni, compreso il taglio della mano destra, per chi infrangeva le regole. «Il principio è semplice: ciò che bruci a febbraio non arderà a luglio. Si chiama manutenzione territoriale, il fuoco controllato usato per rinnovare l’ecosistema e disinnescare il materiale combustibile per i grandi roghi estivi. Se in maniera preventiva bruci il superfluo in inverno, non crei danni all’ambiente e eviti che con la stagione calda le fiamme crescano e raggiungano le chiome degli alberi. Il fuoco prescritto è l’attività preventiva che noi portiamo avanti con i proprietari terrieri, facendo sistema. La gente non ha idea di quanti danni si sarebbero evitati con l’uso sistematico del fuoco prescritto. Anche il disastro Montiferru si deve in parte alla mancata applicazione del fuoco prescritto in una delle zone di innesco. E in quella circostanza, altra fatalità, gli uomini del Gauf di Oristano erano fermi per Covid.
Risparmio Usare in maniera intelligente il fuoco significa anche risparmiare risorse: un’ora di canadair costa 12mila 500 euro, e quando le fiamme raggiungono i 10 metri di altezza, quell’aereo diventa una innocua zanzara. L’incendio non lo fermi più con l’acqua o con gli schiumogeni, che lasciano ferite all’ambiente gravi quanto quelle degli incendi. La partita col fuoco somiglia a quella a Mariglia: se non hai abbastanza mariglie o trionfi da giocare, devi saper passare la mano. Giochi un frillo e aspetti. Quando il fuoco ha sparato le sue carte, allora tu ritorni “superiore” e riprendi il gioco in mano. È inutile rincorrerlo a ogni costo».
Le squadre Sette nuclei territoriali a Sassari, Tempio, Nuoro, Oristano, Lanusei, Cagliari e Iglesias, più una squadra volante sull’elicottero Super Puma. E come equipaggiamento un prototipo di pick-up progettato dal comandante Giancarlo Muntoni, che trasporta acqua, schiumogeni e torce per innescare i controfuoco. Più un’altra vettura con la botte d’acqua. Cinque elementi per squadra. Più un sesto, il più importante: il fuoco.