In famiglia si riparla il sardo, i figli lo insegnano ai genitori
Una ricerca di 15 anni fa scopriva che nessun alunno parlava più il logudorese. Come un gruppo di insegnanti coraggiosi è riuscito a non spezzare il filo
La primavera si mostra ancora timida in Logudoro. Sotto un cielo ventoso i campi di margherite e i mandorli imbiancati di fiori richiamano i versi di Paulicu Mossa: “Avanzade non timedas. Sas benènnidas siedas rùndinas a domo mia”.
Eppure il poeta sarebbe meravigliato se non sconfortato dal dato registrato già nel 2008 nella terra della lingua franca dei poeti sardi il logudorese: a Ploaghe, patria dell’archeologo, storico e coltissimo canonico Spano autore del primo vocabolario italiano-sardo e sardo-italiano, nessun bambino delle classi quinta della scuola primaria parlava più il sardo. La situazione non era migliore a Bonorva, paese natale di Paulicu Mossa, così nella capitale del Logudoro; Ozieri, officina sempre attiva del più importante premio letterario in sardo.
Il suicidio linguistico
La diagnosi seguita all’analisi è stata: “suicidio linguistico”. Non solo nelle città e nelle zone costiere ormai il lento distacco dall’antichissima lingua romanza si stava infine compiendo anche nelle zone interne più conservative. È il tramonto di quello che era stato l’idioma nazionale per secoli, così identificativo da essere poco comprensibile: «No t’entend plui d’un Todesco / Sardesco o Barbarì» cantava il trovatore provenzale Imbaldo di Vaqueiras intorno al 1200, così simile al latino che per Dante: «come le scimmie imitano gli uomini: dicono infatti domus nova e dominus meus». Da linguaggio colto per i codici legali e le costituzioni cittadine il sardo subisce un lento ma inesorabile declino. Usata nei medievali Carta de Logu e Statuti sassaresi e per gli accordi tra regnanti, strenuamente difesa sotto la corona d’Aragona – il sardo era una delle tre lingue fondamentali per essere arruolati nei tercios, i reparti di elité dell’esercito imperiale spagnolo –. Il declino inizia sotto il dominio sabaudo, la lingua sarda (ancora usata col castigliano dall’aristocrazia e negli atti legali) lentamente ma inesorabilmente diviene “dialetto”. I sardi non si arrendono per più di due secoli, parlano in sardo, cantano e compongono in sardo predicano nella lingua madre. Ma già nel 900 il sardo è solo lingua familiare, il colpo finale arriva – come nel resto del Paese – con l’omologazione della tv. Da lingua familiare a segno dell’arcaico, con il sapore sorpassato dei campi e dei pascoli. Per arrivare al filo spezzato del 2008.
Chi non si è arreso
Autore di quella storica, per quanto sconfortante, rilevazione è Mauro Maxia che ha continuato a impegnarsi sul fronte della promozione e della tutela del sardo e che, 15 anni dopo, può tornare su quella diagnosi:
«Dal 2015 l’Istituto Comprensivo di Perfugas, che abbraccia anche le scuole di Ploaghe, Chiaramonti, Laerru, Martis ed Erula, ha deciso di attuare un progetto che prevede l’insegnamento e l’uso del sardo – spiega Maxia –. Anche perché all’epoca furono quegli stessi bambini a dichiararsi interessati, se non proprio entusiasti, di poter imparare il sardo a scuola. Dopo la formazione iniziale, nel 2016 il sardo (e nelle classi di Erula e Perfugas anche il gallurese) è diventato materia di studio alla pari con le altre materie curricolari. Alla formazione delle insegnanti provvede l’Istituto Sardo-Corso di Formazione e Ricerca in stretta collaborazione con le università della Corsica (prof. Alain Di Meglio), di Cagliari (prof. Maurizio Virdis) e di Zurigo (prof. Michele Loporcaro). Grazie alle solide basi scientifiche, il progetto ha guadagnato subito la fiducia del personale e delle famiglie proponendosi anche all’attenzione nazionale. Nel 2019 l’Istituto Comprensivo ha pubblicato anche un sussidiario intitolato “Gioghende e imparende” che viene usato come libro di testo».
Una particolare attenzione in questi ultimi anni meritano le numerose canzoni in sardo, non solo quelle degli artisti isolani come i Tazenda ma anche quelle interpretate da Branduardi, Ligabue e Ramazzotti il cui brano “Domo mea” con Beppe Dettori ha raggiunto in poco tempo il disco di platino. «La considero un’opportunità da cogliere – dice Maxia –. Ricordo anche che ai papi in visita viene cantato “Deus ti salvet Maria”, inno in logudorese usato in tutta l’isola, che molti interpreti non sardi si sono misurati con “Non potho reposare”. Un modo di vedere attraverso altre lenti che fa perdere lo stigma sulla nostra lingua. Sono cose che ci fanno riconoscere come sardi, ci riempiono di orgoglio e ricostruiscono l’autostima, nella completa assenza delle istituzioni che assistono inattive alla devastazione della lingua».
La situazione oggi
Gianni Marras è il dirigente scolastico che si è fatto carico del progetto di rilancio del sardo: «Obiettivi principali furono il recupero della lingua locale anche in senso identitario; riappropriarsi della cultura tradizionale; impiego del metodo contrastivo basato sul confronto della grammatica del sardo con quella dell’italiano e dell’inglese – spiega Marras –. Dalle periodiche valutazioni è emerso che nell’area linguistica gli alunni che studiano il sardo conseguono mediamente risultati migliori rispetto agli alunni che negli anni precedenti non lo hanno studiato. Grazie alla sua metodologia nel 2018 il progetto ha vinto il Label Europeo delle Lingue e, unico tra le scuole italiane, è stato inserito nel Portale delle lingue della Commissione Europea. Oggi le insegnanti di sardo di Perfugas e Ploaghe partecipano come relatrici ai convegni nazionali forti dell’esperienza maturata sul campo – conclude Gianni Marras – . Dopo sette anni di sperimentazione si può dire che gli obiettivi del progetto sono stati centrati in pieno. Primo tra tutti il fatto che il sardo a scuola è ritornato a essere una lingua normale come tutte le altre».