La faccia oscura dell’isola ha più di mille siti inquinati
Quasi il 90 per cento è l’eredità di impianti industriali e minerari Le bonifiche costano e non sempre vengono eseguite tempestivamente
Sassari Argomento scomodo quello che tratta di “un’altra Sardegna”, meno da copertina e più da magazzino. Di quei magazzini un po’ sporchi e malsani, che si tende a non mostrare, né agli ospiti né ai familiari. È la Sardegna dei veleni, delle promesse industriali che hanno lasciato macerie e aree da bonificare, dei poligoni militari, delle discariche nascoste sotto il tappeto, dei resti venefici delle lavorazioni minerarie. L’ultimo piano delle bonifiche pubblicato dalla Regione disponibile è quello diffuso nel febbraio del 2019. Qualcosa da allora è stato fatto, ma il quadro, nella sostanza non è cambiato in maniera sostanziale.
Il Piano del 2019 Il censimento della Sardegna inquinata parla di 169 siti industriali, 151 siti minerari e 9 siti militari. E poi 404 discariche e 257 siti legati alla distribuzione di carburanti. In totale: più di mille aree, piccole e grandi. In questa mappa così complessa e varia, come scegliere a quale sito dare più attenzione? Sulla base di una serie di parametri si classificano i siti: il 12,5% si trova in bassa priorità; il 61,7% è in media priorità; 18,8 % è in medio-alta; il 7,0% è in alta. Più del 50 per cento dei siti ad alta priorità è legato a insediamenti minerari, il 38 a insediamenti industriali.
I fanghi rossi del Sulcis, il lago di arsenico di Furtei, la zona industriale di Porto Torres, la darsena di La Maddalena: queste alcune delle cartoline che non avremmo voluto vedere e che non vorremmo mostrare. Ma ci sono e si ha il sospetto che abbiano contribuito a minare la proverbiale longevità dei sardi. E che forse, in alcuni casi, stiano continuando a farlo.
Ci sono state storie di ricavi privati e di spese pubbliche, soprattutto per le bonifiche. Nei giorni scorsi si è chiuso con una doppia assoluzione il processo contro i vertici dell’Eurallumina di Portovesme, aperto nel 2018 per disastro ambientale in concorso e traffico illecito di rifiuti. I cumuli di fanghi rossi e di residui di lavorazione dell’alluminio sparsi nel territorio? Eredità troppo vecchia per individuare i responsabili, hanno detto i giudici.
E allora, chi paga per i danni, chi paga per bonificare? La Regione, ma la risorse che servirebbero sono enormi. E quelle disponibili non bastano per tutto. Il già citato rapporto della Regione traccia un quadro desolante: moltissimi interventi di bonifica non sono mai iniziati. Di più: in moltissimi casi non è stato fatto nemmeno un lavoro di “caratterizzazione”. Inoltre, dopo quello del 2019, non c’è stato un report più aggiornato della situazione.
L’indagine sui Pfas Molto più recente è il “Forever Pollution Project”, un report realizzato sulla base di una indagine condatta da 18 redazioni (fra i quali Le Monde ed il Guardian) che ha stimato in circa 17.000 siti contaminati da Pfas in Europa, di cui 2.100 con un livello di concentrazione pericoloso per la salute. I Pfas sono composti chimici considerati “perenni”, detti anche forever chemicals.
In Italia ci sono 1.530 siti contaminati con livelli di Pfas pari o superiori a 10 nanogrammi per litro, 780 con un livello di concentrazione pericoloso per la salute (oltre i 100 ng/l), 246 con alte concentrazioni di oltre 1.000 nanogrammi per litro d’acqua, 26 con misurazioni superiori a 10.000 ng/l.
Dei 246 con “alte concentrazioni” 25 siti si trovano in Sardegna per un inquinamento complessivo stimato in 112.500 nanogrammi totali.
Un bel problema, ma solo uno dei tanti. Innanzitutto non c’è assoluta certezza sull’estensione dell’inquinamento nell’isola.
I Sin Se anche ci si limita a prendere in esame solo i due siti di interesse nazionale (Sin) per le bonifiche ambientali del Sulcis-Iglesiente-Guspinese e di Sassari-Porto Torres l’area del sud Sardegna, secondo i dati del ministero dell’Ambiente, è la più vasta e occupa una superficie complessiva di 52.167 ettari all’interno della quale rientra anche una parte dell’area industriale di Cagliari e di Sarroch.
Il Sin di Porto Torres ha una superficie totale di 4.622 ettari. È stato invece riclassificato quale sito di interesse regionale (Sir) l’Arcipelago della Maddalena (di cui La Nuova Sardegna si è occupata anche nei giorni scorsi con la questione delle strutture del mancato G8 e delle bonifiche mai effettuate) .
«I siti di interesse nazionale - ricorda il Gruppo di intervento giuridico - rappresentano delle aree contaminate molto estese classificate fra le più pericolose dallo Stato. Necessitano di interventi di bonifica ambientale del suolo, del sottosuolo e/o delle acque superficiali e sotterranee per evitate danni ambientali e sanitari».
Il danno maggiore lo hanno fatto miniere e industrie: al nord sono interessati Sassari e Porto Torres, al sud l’area è molto più vasta e tocca una quarantina di Comuni. Qualche anno fa i medici per l’ambiente avevano stimato che un sardo su tre vive in un territorio inquinato. Dato smentito dalla Regione.