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Il direttore Porcu: «A Sassari condizioni ideali per studiare»

di Pier Luigi Rubattu
Il direttore Porcu: «A Sassari condizioni ideali per studiare»

«Da quest’anno il numero chiuso passa a 200 per far fronte alla carenza di dottori»

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Professore, perché uno studente che ha superato il test di Medicina, potendo scegliere, decide di iscriversi all’Università di Sassari?
«Sassari, grazie alla lungimiranza del nostro rettore e anche al supporto economico regionale, sta investendo molto sulla medicina, sui percorsi di studi della medicina», risponde Alberto Porcu, direttore del Dipartimento.

Il professore – 68 anni, originario di Sedilo, alla guida della Clinica chirurgica dal 2012 – entra subito nei dettagli: «Si sta investendo sul laboratorio di simulazione, che riguarda la maggior parte delle discipline e sarà uno dei migliori d’Europa, con un investimento di un milione e mezzo di euro solo in manichini. Si sta investendo in un altro laboratorio di ricerca, oltre a quelli che ci sono già, anche questo con più di un milione e mezzo. E si sta investendo nella telemedicina con 30 milioni di euro. Questo vuol dire che da qualsiasi ambulatorio periferico, di base o specialistico, ci si può collegare con una struttura dove ci sono gli specialisti di tutte le discipline. Non soltanto si eviteranno molti arrivi al pronto soccorso, ma per gli studenti seguire in tempo reale tutte queste attività sarà un enorme accumulo di esperienza».

Lei descrive una situazione molto competitiva rispetto a quella di buona parte degli atenei italiani.
«Sì, anche perché non dobbiamo dimenticare che il Dipartimento di Medicina di Sassari ricade sul maggior ospedale sardo, con circa 900 posti letto. Ospedali così grossi ce ne sono pochi in Italia. E quindi è facile per uno studente di medicina poter aver contatto con la realtà del lavoro che lo riguarderà dopo la laurea».

Lei che percorso di studi e di carriera ha fatto?
«Laurea in medicina a Sassari, specializzazione in chirurgia vascolare, poi in chirurgia generale. Ho fatto vari periodi di studio e lavoro all’estero – Stati Uniti, Inghilterra, Olanda, Francia –, esperienze al centro trapianti di Torino e al centro cardiologico Monzino. A Sassari sono stato direttore della Chirurgia dell’obesità e undici anni fa ho sostituito il mio maestro, il professor Pinotto Dettori, alla direzione della Clinica chirurgica».

Quanti sono gli studenti attualmente?
«Abbiamo un numero chiuso: sono 140. Solo quest’anno, a causa della carenza di medici con la crisi dovuta alla pandemia, il ministero ci ha indotto ad aumentare di 60 studenti. Arriveremo a duecento nell’anno accademico 2023-2024».

Li reggete con le strutture attuali?
«Abbiamo sospeso per un anno il corso di studi in odontoiatria per poter garantire i docenti di riferimento. Così avremo il tempo di assumere diciotto professori in più. Per sostenere l’attività formativa di duecento studenti abbiamo la necessità di sessanta docenti. Con i nuovi reclutamenti nel giro di pochi mesi arriveremo a circa 120 docenti e potremo riaprire tranquillamente quel corso che stiamo chiudendo per un anno».

La carenza di medici è un problema generale e Sassari sta facendo la sua parte per rimediare. Per quando riguarda le singole specializzazioni, ce ne sono alcune che vanno particolarmente rafforzate?
«Che sia stato fatto un errore in Italia nel calcolare il fabbisogno di medici è chiaro ed eclatante. Non sono stati calcolati bene i turn over, le quiescenze eccetera, anche perché ci sono state leggi sui pensionamenti che hanno determinato l’uscita dall’età lavorativa di un numero di medici superiore al previsto. Aggiungo che l’Italia è uno dei tre Paesi al mondo in cui le complicanze (che rappresentano una percentuale statistica nota in tutto il mondo) hanno risvolti penali. Questo determina una “fuga” da parte dei medici dalle specialità che più possono andare incontro a problemi legali. Ed è importante quando lo studente appena laureato sceglie la specializzazione».

i sono nuovi corsi di specializzazione in arrivo?
«Intanto manteniamo quelli che abbiamo, ma ne stiamo acquisendo altri. Dal 2009, quando c’è stata la grande crisi finanziaria, i trasferimenti dal ministero agli atenei si erano praticamente dimezzati. Noi nel giro di un decennio abbiamo ridotto della metà i docenti, e stiamo recuperando solo da due/tre anni».

Il Pnrr aiuta da questo punto di vista?
«Non sui professori, perché quando si parla di docenti inquadrabili per le scuole di specializzazione si fa riferimento a ordinari e associati. Il Pnrr può aiutarci sui ricercatori di tipo A, ma il fatto stesso che riusciamo a prenderli e instradarli alla vita universitaria dà la possibilità di avere in futuro nuovi professori. Però è un percorso lungo».

Vuole entrare nel dibattito sulla prevista realizzazione di un nuovo ospedale a Sassari?
«Per la nostra città è un problema importante, perché abbiamo molti padiglioni. L’Azienda ospedaliera universitaria è il Santissima Annunziata, che già non è un unico padiglione; poi c’è il Materno infantile; la zona della clinica medica; ambulatori nella palazzina centrale dove sta anche la direzione; poi c’è il Clemente, poi le “stecche bianche”… È una vecchia concezione che non è più adeguata, l’ospedale deve essere un corpo unico per funzionare bene. Il blocco operatorio deve essere unico: più funzionale e più economico. Così il laboratorio. Si pensi che solo di spostamenti interni con le ambulanze si spendono circa due milioni di euro all’anno. Così come si spende tanto per le guardianie».

Tra l’altro parliamo di un ospedale che non riguarda solamente la città di Sassari.

«Esatto. Il nuovo ospedale di Sassari è un hub con tutte le specialità, che può affrontare ogni complessità. Le strutture periferiche inviano i casi che non possono trattare in loco. L’ospedale di Sassari è l’ospedale del Nord Sardegna, anzi del centro-nord Sardegna, e deve essere facilmente accessibile dal territorio perché ci sono quelle patologie tempo-dipendenti per le quali è necessario che il paziente arrivi nel più breve tempo possibile. Quindi l’ospedale deve avere il massimo di funzionalità e velocità nell’accoglimento del paziente, nella diagnosi e nel trattamento».

Quanto influirebbe sulla didattica la realizzazione del nuovo ospedale?
«Molto, perché lo studente deve seguire immediatamente tutto quello che riguarda l’attività assistenziale sia nell’emergenza, sia nell’urgenza, sia nell’elezione, che sono le tre modalità con cui vengono curate le varie malattie».

Lei ha studiato all’estero, ha avuto allievi locali che si sono perfezionati in università straniere, ha insegnato a giovani di altri Paesi che sono venuti a studiare a Sassari. Qual è il punto di forza dello studente italiano rispetto agli stranieri e viceversa?
«Allora: lo studente italiano quando esce dall’università è sempre tra i più preparati dal punto di vista teorico. Il problema è che non viene messo subito a contatto con l’attività assistenziale diretta. In Belgio e in Francia, per esempio, già dal primo/secondo anno gli allievi vengono buttati dentro i reparti, cosa che in Italia adesso non accade. Solo da poco tempo gli studenti cominciano a farlo dal terzo anno. Nella tradizione si dà molta più importanza allo studio della teoria che della pratica, almeno inizialmente. Su questo stiamo investendo molto, in modo che nel nostro ateneo gli studenti siano subito coinvolti nell’attività assistenziale, che possano almeno vedere: non possono fare nulla direttamente senza essere tutorati, ma è un contatto importante».

Indirettamente ha risposto anche sugli studenti stranieri.
«Le faccio un esempio: un collega tedesco mi ha chiesto se potevo far entrare suo figlio, che studia nell’equivalente della nostra quarta liceo, in sala operatoria. Ho chiesto tutte le autorizzazioni necessarie alla direzione sanitaria e l’ho fatto entrare a vedere. È importante, perché a quell’età il ragazzo o la ragazza deve già capire se gli piace fare il medico. È inutile avere uno studente che vuole fare il medico per raggiungere un prestigio sociale, quando poi non è un mestiere che gli piace. Il contatto precoce, anche nelle scuole medie superiori, sarebbe auspicabile».

Come si fa a trattenere in Italia, anzi in Sardegna, gli allievi più brillanti?
«Bisogna dargli subito opportunità di lavoro, senza che debbano aspettare molto tempo per raggiungere un livello alto nella scala gerarchica. E poi è necessario che siano pagati adeguatamente. Io ho avuto allievi che sono andati in Svizzera, in Francia o da altre parti perché lo stipendio è doppio, se non triplo».

Questa differenza c’è solo nel settore pubblico o anche in quello privato?
«Il privato si adegua, anche se in certe situazioni, ovviamente, è disposto a offrire più del pubblico».

Chiudiamo da dove siamo partiti: spieghiamo in sintesi perché uno studente che supera il test di medicina dovrebbe iscriversi a Sassari.
«Abbiamo un Dipartimento di Medicina che va a lavorare a contatto con tutte le specialità e tutte le discipline, grazie al fatto che la nostra Azienda, dopo gli anni difficili della fusione tra ospedali, si sta riorganizzando bene. La riforma delle Aou è stata positiva: quei conflitti che si temevano tra ospedalieri e universitari non sono avvenuti. C’è un’ottima collaborazione. Quindi Sassari è un buon banco di prova, perché non tutti i dipartimenti e tutte le facoltà, anche nelle città più grosse, sono abbinati a un grande ospedale».

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