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Scuola

Taglio delle autonomie, Andrea Biancareddu: «Sbagliato ma conviene adeguarsi»

di Silvia Sanna
Taglio delle autonomie, Andrea Biancareddu: «Sbagliato ma conviene adeguarsi»

La riforma impone la riduzione da 270 a 228 a partire dal 2024. L’assessore: «Nessuna chiusura e tuteleremo i centri più piccoli e spopolati»

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Sassari Il muro contro muro potrebbe diventare un boomerang: il pericolo – da scongiurare – è che le decisioni le prenda qualcuno che della Sardegna, delle sue caratteristiche geografiche e abitative, sa poco o nulla. Molto meglio gestire la situazione cercando di salvare il salvabile, individuando le migliori soluzioni per rendere la riforma meno dolorosa possibile. L’assessore regionale all’Istruzione Andrea Biancareddu fa un appello all’unità e ribatte alle critiche che gli sono state mosse da alcune forze sindacali e dall’opposizione in Consiglio regionale: il tema è quello del taglio delle autonomie scolastiche stabilito dal ministero dell’Istruzione e dell’Economia, che in Sardegna porterà il numero da 270 a 228 a partire dal prossimo anno, con ulteriore riduzione di otto entro il 2026-2027.

Assessore Biancareddu, ha cambiato idea sul piano di dimensionamento?
«No, continuo a pensare che la riforma sia sbagliata. La mia opposizione l’ho manifestata più volte al ministro dell’Istruzione Valditara e ho espresso il mio no con il voto contrario in sede di conferenza unificata. Mail piano è andato avanti e il decreto è stato pubblicato. Anche se controvoglia, è necessario adeguarsi. Ma nel frattempo qualcosa l’abbiamo già ottenuto».

Si spieghi meglio.
«Inizialmente il Ministero aveva proposto il mantenimento di sole 190 autonomie invece di 228. Il taglio sarebbe stato molto più doloroso e lo abbiamo scongiurato grazie alla nostra opposizione».

Lei però aveva annunciato la possibilità di presentare ricorso, strada scelta da alcune Regioni. L’ipotesi è stata accantonata?
«Sull’eventualità di ricorrere abbiamo riflettuto a lungo con il supporto di esperti e abbiamo deciso di non farlo perché è altamente improbabile che la riforma venga respinta. E il danno per noi potrebbe essere peggiore».

Che cosa potrebbe accadere se la Regione decidesse di non adeguarsi?
«La riduzione-accorpamento delle autonomie scolastiche verrebbe fatta da commissari nominati dal Ministero, cioé da persone che non conoscono il nostro territorio e le sue esigenze. Allora sì che le conseguenze potrebbero essere devastanti».

Invece quale è la sua strategia?
«Penso sia sbagliato ostinarsi nella contrapposizione. Di questa riforma, che continuo a considerare insensata, dobbiamo appropriarci, gestendone l’applicazione nel territorio insieme ai vari soggetti coinvolti. È l’unico modo per attutirne gli effetti negativi. Per questo faccio un appello alla collaborazione e contemporaneamente a non diffondere notizie false che possono generare panico».

Che cosa è stato detto di falso?
«Da più parti si confonde il taglio delle autonomie con la chiusura delle scuole. Il primo punto è stabilito nella riforma, il secondo invece non esiste. Nessun punto scuola sarà chiuso in Sardegna: non ci sono indicazioni in questo senso né è mia volontà farlo. Non l’ho mai fatto in quattro anni e mezzo, anzi mi sono battuto per ottenere le deroghe sui parametri numerici nelle zone montane spopolate e consentire a tutti i presìdi scolastici di restare aperti. Anzi, nell’applicazione della riforma avremo massima attenzione proprio per i territori svantaggiati: è su questo che possiamo e vogliamo incidere».
La preoccupazione maggiore riguarda proprio le zone interne dove la popolazione scolastica è in continuo calo. Come si può tutelarle?
«L’aspetto positivo della riforma è che non fissa parametri numerici: stabilisce quante devono in totale le autonomie – 228 il prossimo anno – ma non dice che ognuna deve avere un minimo di alunni. Si lascia alle Regioni carta bianca per disegnare la nuova mappa delle autonomie. Questo significa che avremo autonomie più piccole e autonomie più grandi a seconda dei contesti territoriali».

Quali sono i criteri di partenza?
«Intanto gli accorpamenti verranno fatti in via prioritaria nei centri con popolazione superiore ai 15mila abitanti: nei contesti urbani l’unificazione sarà certamente meno traumatica. Parallelamente, sarà mantenuta la dirigenza nei Comuni piccoli in cui è presente una sola autonomia scolastica, del primo o del secondo ciclo di studi».

Faccia qualche esempio.
«In una grande città potranno essere accorpati due Licei oppure due istituti tecnici: diventeranno un’unica autonomia guidata dallo stesso dirigente titolare. La figura del dirigente sarà mantenuta anche nei piccoli comuni, soprattutto in quelli più isolati e spopolati. È un segno di attenzione, di presenza».

Esiste un numero massimo di alunni per autonomia?
«L’obiettivo è non superare le 1800 unità. Ma anche a questo parametro sarà possibile derogare nei contesti urbani ad alta densità abitativa».

Le autonomie da “tagliare” quest’anno sono 42. E se i criteri individuati non bastassero?
Si procederà agli accorpamenti anche nei centri con popolazione sotto i 15mila abitanti in cui sono presenti due autonomie del primo e secondo ciclo, privilegiando la formazione di istituti comprensivi. Procediamo per gradi, adeguando le scelte ai territori. Per questo serve il contributo degli enti locali, di chi lì vive e lavora. Il gioco di squadra è fondamentale».

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