La Nuova Sardegna

Salute

Peggiorano nell’isola i livelli essenziali di assistenza

di Roberto Petretto
Peggiorano nell’isola i livelli essenziali di assistenza

Il sesto rapporto Gimbe sul Servizio sanitario. Dopo la pandemia la Sardegna non ha recuperato

10 ottobre 2023
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Sassari Un giudizio che ha il sapore dell’inappellabile: «I princìpi fondanti del Servizio sanitario nazionale, universalità, uguaglianza, equità sono stati traditi». Nessun infingimento, nessuna edulcorazione nelle parole del presidente della Fondazione Gimbe, Nino Carbabellotta, a commento del sesto rapporto sulla sanità italiana. «Oggi sono ben altre le parole chiave che definiscono un Servizio sanitario ormai al capolinea e condizionano la vita quotidiana delle persone, in particolare delle fasce socio-economiche meno abbienti: interminabili tempi di attesa, affollamento dei pronto soccorso, impossibilità di trovare un medico o un pediatra di famiglia vicino casa, inaccettabili diseguaglianze regionali e locali sino alla migrazione sanitaria, aumento della spesa privata sino all’impoverimento delle famiglie e alla rinuncia alle cure».

L’isola infelice Come ben sanno gli utenti sardi del servizio sanitario (finanziato totalmente dalla Regione) da queste parti la situazione non si discosta di molto da quella nazionale. Anzi. In alcuni settori le cose vanno addirittura peggio che altrove. Il divario di prestazioni rimane ampio tra il nord e il sud del paese.
«La “frattura strutturale” tra Nord e Sud compromette l’equità di accesso ai servizi sanitari e gli esiti di salute e alimenta un imponente flusso di mobilità sanitaria dalle Regioni meridionali a quelle settentrionali». E l’autonomia differenziata a cui sta lavorando il Governo rischia di accentuare questo divario: «l’attuazione di maggiori autonomie in sanità, richieste proprio dalle Regioni con le migliori performance sanitarie e maggior capacità di attrazione, non potrà che amplificare le diseguaglianze registrate già con la semplice competenza concorrente in tema di tutela della salute».
I Lea La Sardegna soffre nei cosiddetti Lea, il Livelli essenziali di assistenza. Si tratta di quelle «prestazioni e servizi che il Ssn è tenuto a fornire a tutti i cittadini, gratuitamente o dietro pagamento di una quota di compartecipazione (ticket), con le risorse pubbliche raccolte attraverso la fiscalità generale».
La sezione sul monitoraggio dei Lea analizza l’adempimento al mantenimento dei livelli per il periodo 2010-2019 (quello con la vecchia “griglia Lea”) e il periodo 2020-2021 effettuato tramite il Nuovo sistema di garanzia. «Tutte le analisi confermano una vera e propria “frattura strutturale” tra Nord e Sud: negli adempimenti cumulativi 2010-2019 nessuna Regione meridionale si posiziona tra le prime 10. Nel 2020 l’unica Regione del sud tra le 11 adempienti è la Puglia; nel 2021 delle 14 adempienti solo 3 sono del Sud: Abruzzo, Puglia e Basilicata». La Sardegna è sempre tra le regioni inadempienti.
Sia nel 2020 che nel 2021 le Regioni meridionali sono ultime. Nel 2020 Abruzzo, Liguria, Molise e Sicilia hanno ottenuto un punteggio insufficiente in una sola delle tre aree catalogate (prevenzione-distrettuale-ospedaliera). La Sardegna è stata inadempiente in due aree: quella distrettuale e quella ospedaliera. Nel 2021 le cose non sono migliorate di molto: la Sardegna è rimasta con lo status di inadempiente (insieme ad altre sei regioni) e sempre nelle aree distrettuale e ospedaliera, con un peggioramento di punteggio anche nell’area ancora “sufficiente” quella della prevenzione dove si è registrato un punteggio di quasi dieci punti inferiore (da 70,79 si è scesi a 61,63). Tanto che il punteggio totale dei livelli essenziali di assistenza colloca la Sardegna al terzultimo posto (169,7), appena sopra la Calabria (160) e la Valle d’Aosta (147,2).
Il gap Ma il risultato peggiore per la Sardegna è quello della ripresa dei livelli di assistenza dopo la pandemia. Uno “stress test” come lo definisce la fondazione Gimbe, dalla quale la maggior parte delle regioni italiane è uscito bene. Tranne la Sardegna e la Valle d’Aosta. «Per valutare la graduale ripresa dell’erogazione dei Lea dopo lo scoppio della pandemia, sono state analizzate le differenze tra gli adempimenti 2020 e quelli 2021, misurando i punteggi totali delle Regioni e le performance nazionali sui tre macro-livelli assistenziali». Sardegna e Valle d’Aosta nel 2021 hanno peggiorato le proprie performance, mentre in tutte le altre Regioni i punteggi Lea sono aumentati. La Sardegna ha peggiorato di quasi 10 punti. Disastro della Valle d’Aosta, con un meno 43 per cento.
La mobilità sanitaria Medici e personale sanitario si prodigano ovunque per garantire un’assistenza di alto livello. Le eccellenze sono tante anche nell’isola. Eppure il fenomeno della mobilità sanitaria non si arresta, anche se la Sardegna non è tra le regioni con situazione peggiore. «Dall’analisi della mobilità attiva e passiva - si legge nell’analisi della fondazione Gimbe - emerge la forte capacità attrattiva delle Regioni del Nord, cui corrisponde quella estremamente limitata delle Regioni del Centro-Sud.
In particolare, un recente report della Corte dei Conti ha documentato che nel decennio 2010-2019 13 Regioni, quasi tutte del Centro Sud, hanno accumulato un saldo negativo pari a 14 miliardi, mentre tre dei primi quattro posti per saldo positivo sono occupati dalle Regioni del Nord che hanno richiesto le maggiori autonomie: Lombardia (6,18 miliardi), Emilia-Romagna (3,35 miliardi), Toscana (1,34 miliardi), Veneto (1,14 miliardi).
Al contrario, la Sardegna è tra le Regioni con un saldo negativo, ma inferiore al miliardo (circa 800 milioni). Va peggio a Campania (-2,94 miliardi), Calabria (-2,71 miliardi), Lazio (-2,19 miliardi), Sicilia (-2 miliardi) e Puglia (-1,84 miliardi). La Corte dei Conti ribadisce che «Non è un caso che le Regioni con maggiore capacità attrattive siano posizionate nei primi posti nel punteggio complessivo assegnati per la valutazione».

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