La Nuova Sardegna

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Vita, pensieri e autodistruzione di un femminicida: il racconto della moglie scampata alla morte mentre lui uccideva i figli

di Pier Luigi Rubattu

	La prima pagina della Nuova Sardegna del 4 gennaio 1993
La prima pagina della Nuova Sardegna del 4 gennaio 1993

Trent’anni fa la strage di Santa Teresa. Quattro vittime, compreso l’assassino che alla fine si sparò alla testa. La donna si salvò per miracolo: «Mi aveva minacciato, ma non credevo che potesse davvero uccidere qualcuno»

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La sera di domenica 3 gennaio 1993, a Santa Teresa Gallura, tramontana agghiacciante, quasi nessuno in giro, il 37enne bolzanino Georg Gostner esce dalla sua casa nella frazione della Ficaccia portandosi dietro due pistole Smith & Wesson, una calibro 22 e una 44 Magnum. È deciso ad ammazzare la moglie separata, e non solo.

Questa è la storia di un femminicidio mancato e di una strage compiuta. Quattro vittime: i due piccoli figli della coppia, un anziano teresino e l’assassino stesso, suicida.

Perché riparlarne trent’anni dopo? Perché la moglie scampata alla morte entrò per l’ultima volta nella casa in cui i bambini erano stati uccisi e raccontò al cronista della Nuova Sardegna come può nascere un femminicidio. Come si comporta e che cosa può pensare un femminicida.

Il suo racconto resta impressionante, straziante e attuale. Lo leggerete più avanti. Ma prima il riepilogo della strage.

Santa Teresa, 3 gennaio 1993

Uscito di casa alle 17, Georg Gostner raggiunge sul suo furgoncino Renault lo stazzo della Ficaccia e spara due volte al compagno di tante battute di caccia, Giovanni Antonio Cossu, 67 anni, che morirà qualche giorno dopo in ospedale.

Poi il bolzanino si dirige verso il porto di Santa Teresa. Non sale sulla sua bellissima barca a vela (è di famiglia ricca) ma su quella ormeggiata accanto, dove uno skipper di 42 anni, suo conoscente, sta giocando a carte con cinque amici: spara e lo ferisce alla gola, non mortalmente.

Gostner si sposta al residence Gallo di Gallura, lungo la scogliera tra il porto e la torre. Qui in un appartamento c’è la moglie Rubia Carvalho, brasiliana, 27 anni, dalla quale è separato. Con lei i figli Diego (5 anni) e Amanda (2 anni). Gostner spara alla porta, fa irruzione in casa. Rubia riesce a fuggire da una finestra, lui abbatte i bambini che muoiono abbracciati.

Tutto questo in meno di un’ora. L’ultima tappa di Georg Gostner è sulla scogliera: punta la pistola alla tempia destra e si ammazza.

Prima di ripartire per il Brasile, la moglie andrà ancora una volta, insieme agli investigatori, nella casa in cui i figli sono morti. E si lascerà andare a un lungo racconto davanti al cronista. Eccolo.

Dalla Nuova Sardegna del 6 gennaio 1993

«No, non ce la faccio a entrare, non voglio vedere il sangue dei miei bambini. Mettete le mie cose in una valigia e portatele fuori. Ho già superato troppe prove, i miei figli li ho già salutati. Ad Amanda ho cantato quella ninna nanna brasiliana che le faceva subito chiudere gli occhi, a Diego ho detto che è partito per un viaggio sull’astronave che gli avevo regalato per Natale. Ma ci rivedremo presto.

«Maresciallo, lei lo sa che la mia vita è finita, vero? Si ricordi di prendere quella mano di carta attaccata alla porta, è la manina del mio bambino. A Capodanno gliel’avevo appoggiata su un foglio, ci avevo passato attorno un pennarello e avevo ritagliato il disegno. Ma guarda, sotto avevo scritto “Diego 83”, che sbadata, siamo nel ‘93, non ci saranno altri anni per mio figlio.

«Perché faceva quel tempaccio domenica, perché c’erano quel vento, quel gelo? Avrei voluto portare i bambini a passeggio e invece siamo rimasti in casa a guardare la tv. Se fossimo usciti e non ci avesse trovato…

«Io lo sapevo che quella sera prima o poi sarebbe venuto a casa, me lo aveva detto. Adesso era lui che passava a trovare Diego e Amanda. Un mese fa, appena sono arrivata a Santa Teresa e ho preso quest’appartamento, lui mi ha chiamato e mi ha chiesto: “Vuoi tenere i bambini? Li affido a te”. Da quando c’eravamo separati aveva sempre voluto i figli tutti per sé, gelosissimo, possessivo. Combattevo, andavo in tribunale, ci sarò stata dieci volte, ma la famiglia di Georg aveva ingaggiato il miglior avvocato di Bolzano e il giudice dava sempre ragione a loro.

«Ma quel giorno Georg mi ha detto che i bambini potevo prenderli io. Non capivo. “Perché hai deciso così? – gli ho chiesto – Guarda che io posso venire alla Ficaccia a farti da serva, se vuoi, a me basta essere vicina ai bambini, perché hai cambiato idea in questo modo?”. Io so che Georg non ha mai saputo bene quel che voleva, era un uomo eccezionale, bellissimo, era bravissimo in tutto quello che faceva, parlava cinque lingue, sapeva andare in barca a vela per gli oceani, suonava la chitarra meravigliosamente, ma ha conosciuto un vero scopo nella vita quando io l’ho lasciato e si è trovato da solo con i figli.

«Dal momento della separazione per lui ci sono stati Diego e Amanda, e basta. Stava sempre con loro, esaudiva tutti i loro desideri, li coccolava, li adorava. Ma prima nella sua vita contavano solo la chitarra e la vela, e per un breve periodo, dopo che ci siamo conosciuti, ci sono stata io.

«A me sembrava di essere Cenerentola: ero in spiaggia a Porto Alegre ed è arrivato lui con la sua barca, ed era bello e simpatico, suonava la chitarra e cantava, era amico di tutti. Io avevo vent’anni ed ero povera, avevo appena finito di studiare, una scuola tipo il vostro liceo scientifico, e Georg mi ha portata via, ero così felice che a volte mi veniva da piangere. Era magnifico stare insieme sulla barca, è lì che abbiamo fatto i nostri figli. Però prima veniva la vela e poi c’era il resto. Una settimana dopo che è nato Diego, lui è partito per un viaggio di cinquanta giorni, mi ha lasciato sola con la sua famiglia. Non è facile essere brasiliana, e figlia di gente semplice, ed entrare in una ricca famiglia di Bolzano.

«Vivevamo in casa della madre, il padre era morto. Georg mi raccontava che neanche quando lo aveva visto nella bara aveva trovato la forza di baciarlo: “Lo sai che in tutta la vita non ho mai ricevuto un bacio da mio padre?”. Ma mentre andava e tornava e io crescevo nostro figlio, e anche quando aspettavo Amanda, davo una mano a sistemare la nostra vera casa, quella in cui saremmo andati ad abitare. Era venuta fuori una cosa meravigliosa, un castello. È nata la bambina e pochi giorni dopo Georg mi ha detto: “Andiamo a vivere a Santa Teresa”. Mi ha portato alla Ficaccia in dicembre, in quella casa sulla collina, isolata, fredda, e io gli dicevo: “Ma come faccio qui a crescere Diego e Amanda?”.

«Adesso piangevo per la disperazione, ho pianto molto nella mia vita, e più d’infelicità che di gioia, è una disgrazia la mia vita. Anche a Bolzano ero triste, Georg non voleva mai uscire con me, quando non era in viaggio stava chiuso in casa a suonare la chitarra, otto ore al giorno. Diceva: “Sono un grande chitarrista rock, potrei diventare una stella, ma a cosa mi servirebbe? Io non ho bisogno di lavorare”. Lui non aveva mai avuto problemi, era ricco, i suoi genitori gli avevano sempre dato tutto quello che voleva. E anche alla Ficaccia la stessa storia, io mi davo da fare con i figli e sistemavo la casa e lui suonava la chitarra e leggeva libri, tanti libri di filosofia, andava pazzo per Nietzsche, gli piacevano questi libri tedeschi, tristi, noiosi.

«Finché un giorno non è venuto a Santa Teresa un ragazzo che mi aveva conosciuto due anni prima e s’era innamorato perdutamente di me. “Vattene da questo posto, rifatti una vita”, mi ha detto, e l’ho seguito. Ma poi ho capito che non potevo stare senza i miei figli. Ho lasciato quel ragazzo, sono tornata da Georg, chiedevo di vedere i bambini, ma sapevo che la sua famiglia non mi avrebbe mai perdonato per quello che avevo fatto. Dicevano che ero una puttana, che mai il giudice avrebbe dato ragione a me. E anche quando potevo vedere i bambini Georg me li nascondeva, e non mi mandava gli assegni per vivere, per questo andavo a lavorare nei bar, non perché sono una puttana.

«L’ho visto Georg stamattina (nella camera mortuaria – ndr) e gliel’ho detto, sei stato l’unico amore della mia vita, il nostro amore era troppo forte per questo mondo. Li vedi i nostri bambini? Sono qui accanto a te. Ora sono angeli e ci proteggeranno, io li raggiungerò presto, non ho il coraggio di ammazzarmi, ma non ho nemmeno la forza per vivere.

«Perché l’ha fatto? Non lo so, non lo so, non lo so. Quando litigavamo per i bambini qualche volta Georg mi aveva minacciato di morte, ma io non credevo che lui potesse davvero ammazzare qualcuno.

«Non so perché li ha uccisi, non so perché un mese fa ha deciso di darmeli. Era geloso di Diego e Amanda com’era stato geloso di me a Bolzano. Per due anni i figli sono stati tutta la sua vita e un giorno è venuto e mi ha detto: “Tienili”. Ma era sempre da noi. Eravamo tutti insieme a Natale e a Capodanno. Però forse Georg aveva deciso che era il momento di tornare alla chitarra e alla vela.

«Qualche sera fa è venuto al residence, si è seduto sul bordo della piscina e mi ha raccontato di aver conosciuto questo ragazzo (il velista al quale avrebbe sparato – ndr) che faceva le traversate nell’oceano. Mi ha detto che erano diventati amici, ma che per lo skipper le regate erano un lavoro, mentre lui nell’oceano ci andava per divertimento. Era così, era convinto di essere la perfezione assoluta in tutte le cose che faceva, ma le faceva perché gli piacevano, non per guadagnarci qualcosa.

«Poi ha cominciato a parlare della musica. Ha detto che la musica era la cosa più importante della sua vita. Che voleva tentare la fortuna a Milano, andare nelle case discografiche. Ho pensato che stava tornando quello di prima. Ho pensato che mi aveva lasciato i bambini perché voleva prendere la barca, starsene in giro per il mondo e suonare la chitarra. Come quando l’avevo conosciuto e Georg era stato il mio principe azzurro e io la sua Cenerentola.

«Domenica lui è venuto qua e ha cancellato le nostre vite. Era bella questa casa, ci stavo bene, l’importante per me erano i bambini, ma Georg aveva promesso che me ne avrebbe trovata una più grande. Non voglio entrare, maresciallo, riempia lei la valigia per me. Guardate, questi sono i libri di Diego: prendeteli voi, dateli a un bambino che possa leggerli, a me non servono più, sono solo un ricordo che fa male. C’è il sangue dei miei figli là per terra, perché nessuno lo ha pulito?”.

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