Come uno schiavo. Il racconto di un corriere espresso: «Dieci ore al giorno per meno di 4 euro all’ora»
Al volante anche quando è festa e gli infortuni restano un’incognita
Sassari Sveglia all’alba, controlli e verifiche della merce, ampio giro di consegne, ritorno a casa. Sempre che non capiti un intoppo, perché allora risolverlo è un compito che spetta solo ed esclusivamente al lavoratore. Le tutele, infatti, non sono comprese. Una liturgia laica che si conclude in dieci ore di lavoro al giorno, che sia feriale o festivo poco importa. Tutto per uno stipendio di 1200 euro al mese, meno di 4 euro all’ora che salgono leggermente quando l’azienda che gestisce il subappalto decide di pagare una maggiorazione per i festivi. Non proprio una pratica diffusissima, a quanto sembra.
Raccontata così, sembra la routine di un lavoratore sottopagato nella parte meno fortunata del mondo. Invece, è il racconto in forma sintetica di una giornata di lavoro di uno dei tanti autisti che suonano al campanello di casa nostra per completare una consegna veloce, dove “veloce” sta solo per la rapidità con cui si conclude l’ordine. Dietro, all’ombra dell’efficienza sbandierata da chi organizza questo tipo di servizi c’è una categoria di persone che sarebbe riduttivo definire “sottopagata” e che è ancora costretta a sognare quel salario minimo da 9 euro all’ora che il governo ha cancellato dalla lista delle cose buone e giuste.
La testimonianza Sarebbe bello iniziare dal nome e dal cognome di chi racconta, ma in questo caso non si può. Chi parla lo fa solo perché coperto dall’anonimato. Metterci le generalità è controproducente, si rischiano ritorsioni che è sempre meglio evitare. Ad ogni modo, la giornata di un corriere espresso inizia quando il sole è ancora nascosto dietro l’orizzonte: «Arriviamo ai magazzini di smistamento molto presto, prima dell’alba – racconta un corriere –. Dobbiamo controllare i pacchi e caricare il furgone. Spesso la casa madre chiede una verifica prima di partire per le consegne. Allora dobbiamo scaricare il furgone, rifare la verifica e ricaricarlo. Inoltre, non è sempre vero che i pacchi che consegniamo siano piccoli e leggeri. Sempre più spesso consegniamo scatole pesanti, intorno ai 20 chili. Capitano anche pneumatici per trattori, frigoriferi, lavatrici, pezzi di ricambio». Caricare, scaricare e ricaricare il furgone è quindi un’operazione giornaliera, da fare al caldo torrido delle mattine estive o al freddo umido di quelle invernali. «Quando completiamo queste operazioni generalmente si sono fatte le 8.30, anche le 9. Allora iniziamo il giro delle consegne, direi in media 120 pacchi al giorno, per un percorso che spesso supera i 200 chilometri». C’è poi anche una sorta di illusione ottica compresa nel pacchetto: «Il nostro vestiario è quello della casa madre per cui lavoriamo ma non siamo lavoratori diretti delle grandi multinazionali come Sda, Brt, Dhl, Gls o Ups. Siamo “lavoratori terziarizzati” e in realtà dipendiamo dalle aziende in subappalto o dei contro appalti. In sostanza, nessuno di noi conosce il proprio datore di lavoro, non lo ha mai visto in faccia e quando l’azienda madre decide di non prorogargli la commessa di lavoro, fugge con il nostro Tfr». Praticamente, la legge della giungla. Ma il peggio deve ancora arrivare: «Entriamo in questo settore da giovani ma – spiega il trasportatore – invecchiamo presto. Qualora ci dovessimo infortunare, o lesionare la schiena per la fatica quotidiana, non ci viene data alcuna possibilità di poter cambiare mansione. Significa che sino a quando produciamo utili ai datori di lavoro, quando continuiamo ad offrire il servizio di consegna anche di beni primari, come è accaduto recentemente quando siamo stati tutti investiti dalla pandemia, veniamo descritti come lavoratori utili e fondamentali per il nostro Paese. Quando poi, con il passare degli anni e con l’affiorare dei problemi fisici e di salute, non siamo più al massimo delle nostre potenzialità, diventiamo immediatamente carne da macello». Come succede nella giungla, appunto.