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L’intervista

Alessandra Todde: «Sulla sanità non servono slogan e i pazienti non sono dei pacchi»

di Roberto Petretto
Alessandra Todde: «Sulla sanità non servono slogan e i pazienti non sono dei pacchi»

La leader del Campo largo: la mia Sardegna in 10 punti

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Sassari Dieci punti, dieci argomenti: una visione di come tentare di cambiare la Sardegna nei prossimi cinque anni. Alessandra Todde parla dei temi sui quali l’isola e chi la amministrerà si dovranno confrontare.

Cominciamo dalla sanità. Tanti problemi, tra carenze di medici, ospedali in affanno e liste d’attesa chilometriche. Che farete?

«Non faremo una nuova riforma della sanità, ma ci impegneremo sulla base delle risorse disponibili a far funzionare il sistema, riprendendo il pilastro della sanità territoriale. Il concetto centralistico non ha funzionato, i pazienti non possono essere spostati come pacchi. Innanzitutto, c’è da modificare il Centro unico di prenotazione. Poi le persone devono essere prese in carico nei territori. E ci vuole più attenzione nei confronti del personale sanitario: bisogna aumentare le retribuzioni, intervenire su formazione e progressione delle carriere, con maggiore trasparenza nei concorsi e prospettive per il personale».

Gli ospedali resteranno aperti?

«Non spegneremo alcuna “H” nel territorio. Certo, non tutti gli ospedali sono uguali: alcuni sono “ad alta intensità”, delle eccellenze legate alla casistica. Gli ospedali territoriali restano, ma devono avere alcuni presupposti irrinunciabili: punto nascite, attenzione per le patologie del territorio come diabete, sclerosi, geriatria. Poi bisogna riorganizzare il sistema dell’emergenza e dei pronto soccorso, gravati dalla mancanza di servizi territoriali. Ripristinare il registro dei tumori e avere un ospedale pediatrico».

E i nuovi ospedali?

«Fare nuovi ospedali senza mettere mano alla riorganizzazione è prendere in giro le persone. A Sassari ho visto che il tema è molto sentito. Dipenderà dalle situazioni, non servono gli slogan».

C’è grande carenza di medici...

«Ne mancano 500 di base. La cosa che si può fare subito è liberare il tempo dei medici che devono fare anche i burocrati e i segretari. L’idea è di incentivare una struttura che possa prendere in carico la parte burocratica. Il personale va poi redistribuito: la concentrazione di specialisti in alcuni ospedali non va bene. Diciamo anche no alla privatizzazione della sanità: il privato deve servire per accompagnare, ma non sostituire. Da archiviare l’esperienza dei medici a gettone che è stata fallimentare».

Passiamo ai trasporti: bisognerà cambiare la continuità territoriale: come?

«Ci sono tre livelli: risorse, programmazione e modello. Le risorse non sono sufficienti. In Sardegna la spesa per la continuità territoriale è di 25 euro per passeggero. In Spagna di 200, in Francia 300. Programmazione: non siamo stati capaci di dire alla commissione europea qual è il fabbisogno della Sardegna e abbiamo accettato i numeri che ci hanno dato. È ora di andare in Commissione con numeri allineati al fabbisogno reale. Infine, il modello: incaponirsi sulla tariffa unica non va bene. Noi proponiamo un modello misto. Nei mesi di punta utilizzare la leva mercato per accordi con compagnie in concorrenza tra loro per abbassare prezzo e garantire le rotte. E un sistema di incentivi nei mesi di spalla per garantire un servizio adeguato».

E per l’energia che sistema deve avere la Sardegna?

«Bisogna rivedere il Piano energetico regionale. La situazione mutata e il Piano non è stato utile. La nostra idea è di istituire una multiutility per la gestione dell’energia basandoci su uno dei casi migliori, quello del Trentino. Dolomiti energie, multiutility posseduta da Regione e Comuni, ha distribuito lo scorso anno 70 milioni di utili. Quale energia avremo? Sempre più verde, ma nella transizione il gas è indispensabile. Per le rinnovabili è urgente l’individuazione delle aree idonee, sulla quale la Giunta avrebbe potuto legiferare e non l’ha fatto. La gasiera a Porto Torres è nel Dpcm, quella di Portovesme è legata al futuro di Eurallumina e alle contestazioni locali di cui bisogna tenere conto. Vedo meglio un collegamento tra la zona di Cagliari e i depositi di Oristano, vedo meno bene un collegamento tra Oristano e la parte nord dell’Isola».

Turismo: che modello avete in mente?

«Quello che non ha fatto la Regione è il Destination Management Organizations per un’offerta turistica integrata. Faccio ancora l’esempio del Trentino he ha costruito una rete e un’esperienza plurale. Bisogna concentrarsi su turismi diversi, su enogastronomia, cultura, lavoro, e esigenze diverse. Insomma, non c’è solo il turismo stagionale».

L’agricoltura è un po’ una Cenerentola...

«Dobbiamo mettere competenze nell’assessorato, riorganizzare le tre agenzie, Agris, Laore e Argea, che hanno ruoli che si sovrappongono, inefficienze burocratiche, ritardi nei bandi e nei pagamenti. Non bisogna considerare l’agricoltura come assistenziale, ma come filiera economica, investire nelle sue necessità, arrivando a creare anche una sorta di Pac regionale».

Tema scottante è la tutela dell’ambiente: che fare?

«Sulle bonifiche delle aree inquinate intendiamo fare della Sardegna un centro di eccellenza sul quale investire per attrarre tecnologie e intelligenze. Poi serve un piano strategico regionale per una legge quadro di governo del territorio. Il contesto va visto in maniera complessiva: pensiamo di istituire ufficio del piano interassessoriale».

Ci sarà una nuova legge urbanistica?

«Sì, ma dopo la legge quadro per il governo del territorio. Per noi la tutela ambientale e la salvaguardia delle coste sono priorità. Intendiamo proseguire in questo solco, ma c’è il tema del recupero edilizio, dei centri storici, degli insediamenti nelle campagne».

Ci sarà una riforma della macchina regionale?

«La centralizzazione delle funzioni non dà frutti sperati. C’è uno scollamento tra Comuni e centri di spesa. Poi è necessario rafforzare i corpi intermedi, soprattutto per istruzione, acqua, consorzi, strade. Devono avere ruolo e responsabilità».

Possono essere le Province?

«Sì, ma vanno tolte dal limbo in cui si trovano, rese operative, dotate di poteri e portafogli».

Modificherete la legge elettorale?

«Sì, ha problemi di rappresentanza territoriale e di genere».

Sulle politiche del lavoro?

«Ci sono due aspetti, quello del lavoro e quello dello sviluppo economico. Per il secondo pensiamo a un’agenzia per le politiche industriali che accompagni percorsi governativi, che possa replicare misure utili alle imprese, che vari politiche di sviluppo per aree territoriali. Fare impresa nelle zone periferiche è diverso che farlo a Cagliari. Servono gestioni fiscali differenti e incentivi. Bisogna lavorare sull’accesso al credito, ripensare la Sfirs. Sul lavoro: deve essere riorganizzata l’Aspal e migliorata la relazione con l’assessorato. Poi non è possibile che mandiamo indietro risorse europee perché non si fanno i bandi».

Programmi per cultura e istruzione?

«Ci sono pochi soldi per la cultura: nell’ultimo bilancio appena 30 milioni per le imprese culturali. Servono incentivi e un migliore accesso al credito che consenta alle imprese di espandersi. Sull’istruzione è gravissimo che non ci siamo opposti al dimensionamento scolastico. Noi abbiamo in mente la “rete delle piccole scuole”, mettere comunità piccole nelle condizioni di avere un’istruzione pubblica pari a quella delle città più grandi».

Per fare tutto questo servono soldi e tanti ...

«Una cosa è certa: non rimarremo per un anno e mezzo senza direttore del Centro regionale di programmazione. Comunque, non c’è carenza di risorse: i fondi ci sono, tra bilancio regionale, fondi di europei, fondi del Pnrr. La Regione ha un avanzo di 3 miliardi, il problema è che non sono stati capaci di spendere le risorse».

Le divisioni nel centrodestra la favoriranno?

«Chiunque mettano, che vadano uniti o divisi, non si staccheranno dalle responsabilità profondissime che hanno. Lasciano una Sardegna in macerie e anche se arriveranno a una composizione non si libereranno dalle loro responsabilità».

Un messaggio a Soru?

«Non è un avversario politico. Guardo alle cose che ci uniscono e sino all’ultimo lancerò messaggi di concordia. Noi faremo la nostra strada e l’evento di Sassari ci dice che c’è un vento di cambiamento e l’entusiasmo della Sardegna».

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