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Sanità sarda, Sandro Montisci: «La politica faccia due passi indietro»

Sanità sarda, Sandro Montisci: «La politica faccia due passi indietro»

Sistema traumatizzato da due riforme. Non si può farne un’altra: serve responsabilità

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Sassari Sandro Montisci, medico cagliaritano di 69 anni, è candidato alle regionali con la lista Sardigna R-esiste. Nel gruppo che sostiene Lucia Chessa alla presidenza della Regione si occupa di temi sanitari. «Siamo di fronte a una devastazione del servizio sanitario, soprattutto nella medicina territoriale, con un crescente numero di cittadini senza medico di base, con guardia mediche accorpate o chiuse, con gli ospedali periferici chiusi e con quelli grandi in sofferenza, con i pronto soccorso in difficoltà».

Di chi è la colpa?

«Ci sono sicuramente delle cause nazionali. E poi c’è il fatto che la Sardegna ha avuto due riforme sanitarie in due legislature. Questa schizofrenia nel gestire l’organizzazione della sanità ha devastato la situazione esistente».

Voi cosa proponete?

«Sappiamo che noi non avremo possibilità di entrare in Consiglio a causa di una legge antidemocratica che blinda gli attuali consiglieri regionali. Noi denunciamo che i politici di lunga data debbano assumersi le proprie responsabilità».

Ma all’atto pratico qual è la vostra soluzione?

«Agire rispettando i principi della costituzione. Partendo dal fatto che al centro di tutto ci deve essere la persona, che si devono garantire trasparenza e condivisione, che si deve abbandonare la pratica dello spoil system. La politica deve fare due passi indietro sulle questioni della sanità».

Fareste una nuova riforma?

«No, non si può continuare a traumatizzare il sistema. Ci vuole senso di responsabilità. Gli incarichi vanno assegnati in base alla competenza. La sanità deve essere più vicina possibile ai cittadini che devono essere coinvolti nelle scelte. È necessario un cambiamento radicale: basta con le riforma calate dall’alto che non coinvolgono cittadini e operatori. La vera riforma sarebbe quella di un nuovo metodo di gestire».

Come affrontare la carenza medici?

«Non ci sono ricette magiche. Per formare un medico ci voglio 10 anni. In questa situazione la cosa più opportuna da fare è creare una maggiore integrazione sociosanitaria per resistere sino a quando nuove figure saranno disponibili».

Che pensa dei medici a gettone?

«Che è un modo per tappare un buco, ma crea molto malumore tra i colleghi che vengono pagati molto meno per fare lo stesso lavoro. Non è un modo soddisfacente per risolvere la questione».

E i nuovi ospedali?

«Prima di pensare a nuovi ospedali è opportuno far funzionare bene quelli esistenti. Mio parere personale: i soldi destinati a nuovi ospedali sono uno spot di fine legislatura». (r.pe.)

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