La Nuova Sardegna

Elezioni regionali 2024
Dopo il voto

Una legge elettorale Frankenstein tra proporzionale e maggioritario

di Davide Pinna
Una legge elettorale Frankenstein tra proporzionale e maggioritario

Nacque nel 2014 per rendere complicata la corsa alla presidenza di Michela Murgia. Dieci anni dopo mantiene meccanismi oscuri e incomprensibili per i cittadini

28 febbraio 2024
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Sassari Soglie di sbarramento palesi e nascoste, meccanismi di ripartizione dei seggi oscuri, complicati calcoli che spesso vengono ribaltati dai giudici mesi dopo le votazioni. La legge elettorale sarda ha fatto il suo esordio alle elezioni del 2014, quelle vinte dal centro sinistra guidato da Francesco Pigliaru, ma a dieci anni di distanza, i meccanismi che portano all’elezione del presidente e, soprattutto, alla trasformazione dei voti espressi dagli elettori in seggi sono poco chiari e mal conosciuti. In termini tecnici, il sistema elettorale sardo è un proporzionale con pesanti correzioni maggioritarie. Il prodotto dell’assemblaggio di due concetti opposti: da un lato, rappresentare fedelmente nella composizione del consiglio regionale il voto dei cittadini; dall’altro, garantire a chi vince le elezioni una maggioranza solida e al riparo da sorprese, scoraggiando contemporaneamente la nascita di terzi incomodi rispetto ai due poli tradizionali: centro destra e centro sinistra. Non a caso, la legge fu approvata con un blitz bipartisan nell’autunno del 2013, ad appena tre mesi dal voto. Erano gli anni ruggenti dei 5 Stelle, che poi però non presero parte alle elezioni, squassati dalle lotte intestine. Ma c’era un’altra candidatura scomoda, quella di Michela Murgia. La scrittrice restò fuori dal consiglio regionale, nonostante i 75mila voti raccolti personalmente e i 45mila ricevuti dalla coalizione che la sosteneva, Sardegna possibile. Stessa sorte capitata a Soru e alla sua Coalizione sarda. I meccanismi per raggiungere questi obiettivi sono molteplici. Si comincia dal fatto che gli elettori hanno a disposizione due voti: uno per il candidato presidente e uno per i partiti e i candidati consiglieri. La vittoria va al candidato presidente che ha ottenuto più voti, non importa quanti ne abbiano preso le sue liste. E, per garantire la cosiddetta governabilità, a queste liste viene assegnato un premio di maggioranza.

Ecco perché, nonostante il centro sinistra abbia preso meno voti del centro destra il 25 febbraio, avrà in dote il 60% dei seggi del consiglio regionale: 36 su 60. Altri due accorgimenti sono invece pensati per scoraggiare l’eventuale terzo incomodo. Il primo: solo i due candidati presidenti più votati entrano in consiglio regionale, diversamente da quanto accade alle elezioni comunali con i sindaci. Il secondo: sono state istituite delle soglie di sbarramento molto alte, il 5% per i partiti che competono in solitaria e il 10% per le coalizioni, al di sotto delle quali si resta fuori dal consiglio regionale. Soglie molto alte che, in tre tornate elettorali, sono state superate solo una volta, nel 2019, dai 5 Stelle, che avevano raccolto il 9,74%. Bisogna poi tener conto di una terzo elemento, una sorta di soglia di sbarramento implicita. Si tratta del cosiddetto quoziente, il risultato di un’operazione aritmetica che rappresenta quanto vale ogni seggio del consiglio regionale. Funziona più o meno così. Ipotizzando che in consiglio regionale ci siano tre seggi e che un seggio valga 15mila voti, se il partito A raccoglie 50 mila voti ha diritto a tre seggi, con un resto di 5mila voti. Il partito B, con 37mila voti, ha diritto a due seggi, con un resto di 7mila voti. E il terzo seggio va a chi ha il resto più alto, quindi al partito B. Il partito C, con 14mila voti, resta fuori dai giochi.

Questo è il caso di Fortza Paris e Demos che, pur facendo parte del centro sinistra vittorioso, sono rimasti fuori dal consiglio. Non finisce qui, perché le cose si complicano ulteriormente quando si tratta di ripartire i seggi assegnati a ogni partito fra le circoscrizioni e i singoli candidati. A questo punto bisogna tener conto di una serie di varianti legate al tentativo, spesso malriuscito, di rappresentare equamente ogni territorio. Così, non necessariamente chi ha preso più voti verrà eletto.

Ecco perché, ad esempio, il più votato della Lega, Pierluigi Saiu con 2.977 preferenze a Nuoro, è in bilico e resta dietro il compagno di partito Alessandro Sorgia, che a Cagliari ne ha prese 300 in meno, ma entrerà sicuramente in consiglio.

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