Cagliari «C’è un percorso per l’abilitazione che tutti gli insegnanti di sostegno hanno sempre seguito e che rende il modello italiano un’eccellenza: questa specie di condono deciso dal governo per i titoli presi all’estero rappresenta un grande passo indietro». C’è un articolo del nuovo DL scuola, in discussione da due giorni alla Camera, che risulta particolarmente indigesto a chi fa questo mestiere. È quello che prevede la possibilità di accedere ai percorsi di specializzazione organizzati da Indire per chi ha acquisito un’abilitazione all’estero sul sostegno e abbia attivato i canali giurisdizionali per il riconoscimento del titolo. «Molte di queste persone hanno conseguito titoli di abilitazione all’insegnamento in Spagna, Bulgaria e Romania – sottolinea Giulia Mameli, 43 anni, docente di sostegno di ruolo a Sassari all’Ic Latte Dolce e collaboratrice di Uil Scuola Rua –. Sono corsi particolarmente costosi che prevedono un percorso completamente differente rispetto a chi si specializza in Italia. Non a caso sinora i titoli non sono mai stati ritenuti sufficienti per ottenere l’abilitazione nel nostro Paese, almeno sino alla sanatoria inserita nell’articolo 7 del Dl 71». Secondo la docente i problemi nascono a monte, ovvero nel percorso da affrontare. «In Italia è necessario affrontare una fase preselettiva e un concorso scritto e orale – spiega – a meno che non si abbiano tre anni di servizio nella scuola dell’infanzia, nella primaria o secondaria di primo e secondo grado. In quel caso di accede direttamente allo scritto. E infine c’è da svolgere un tirocinio. E tutto questo, insieme a norme assolutamente all’avanguardia come la 104, fa sì che l’Italia abbia un vero e proprio fiore all’occhiello nella gestione dell’insegnamento di sostegno. Cosa che assai difficilmente può essere garantita per chi si forma o prende titoli all’estero, dove ci sono innanzitutto norme differenti e dove si fanno solo lezioni online, con un tirocinio finale non certo impegnativo e strutturato come avviene da noi». In Italia il numero di docenti che hanno conseguito l’abilitazione all’estero sono stimati in circa 11mila unità. Moltissimi sono sardi, ovvero circa un migliaio. Ma in un settore che mostra di avere costante necessità di nuovi professionisti abilitati da inserire negli organici, quale può essere la soluzione? «Tutto questo problema nasce perché i corsi sono a numero chiuso in tutte le università – fa notare Giulia Mameli –. La fase preselettiva garantisce un’iniziale scrematura ma per esempio a Sassari i posti sono soltanto 150, distribuiti per le tre tipologie di scuole. Quest’anno il bando dell’università prevedeva una quota del 35%, pari a 21 posti, che garantiva l’accesso direttamente al percorso di specializzazione in base a titoli o anzianità. C’è un acceso dibattito a livello sindacale, e la proposta di Uil Scuola è da tempo quella di togliere numero chiuso, proprio per evitare che si crei questa sorta di compravendita di titoli all’estero. Perché poi c’è da sottolineare anche l’aspetto economico: se in Italia affrontare tutto il percorso costa circa 3mila euro, per andare a prendere uno di questi titoli all’estero servono dai 6 agli 8 mila euro, e si può arrivare anche a 10. Insomma, non è giusto anche per questa ragione». Del decreto legislativo c’è poi un’ulteriore criticità segnalata dalla delegata di Uil Scuola. «Per quanto riguarda la continuità didattica, la soluzione prospettata da governo si baserebbe sul parere positivo della famiglia dell’alunno che necessita di sostegno. Addirittura l’alunno stesso dovrebbe decidere sulla propria insegnante di sostegno – spiega la docente sassarese –, quando è evidente che in molti casi si tratta di individui che non sono in grado di fare una valutazione del genere o addirittura di esprimersi. Si rischia di creare sacche di clientelismo, quando il sistema deve invece garantire laicità, trasparenza e pluralismo»