La maturità di Flavio Soriga: «Un utese al Siotto»
Il ricordo dello scrittore e presentatore
Sassari «Vissi la maturità come una liberazione, perché per varie ragioni quelli per me furono anni di tormento. Soltanto molto tempo dopo avrei realizzato che la scuola mi aveva dato tantissimo». Nel 1993 Flavio Soriga, oggi affermato scrittore, era uno studente pendolare che da un piccolo paese dell’hinterland cagliaritano viaggiava ogni giorno verso il capoluogo per frequentare una delle migliori scuole della città. Tre decenni più tardi, il ricordo dell’esame non si è affatto addolcito.
«L’esame in sé come esperienza mi ha lasciato davvero poco – racconta l’autore di Sardinia Blues, che ha recentemente pubblicato il libro per ragazzi “Signor Salsiccia”–. Al tempo ero un liceale che abitava a Uta con la sua famiglia e che studiava al liceo Siotto. Noi eravamo una famiglia normale e stavamo in un posto che, a dispetto dei 20-25 chilometri di strada, negli anni Novanta era distante anni luce da Cagliari, da ogni punto di vista. Il Siotto era un liceo per famiglie benestanti, con tutte le dinamiche che ne conseguono, e per me era veramente un altro mondo. C’era chi veniva accompagnato a scuola dall’autista, chi andava in vacanza in posti per me esotici e lontanissimi: tipo Santa Teresa. A Uta negli anni Novanta nessuno possedeva una casa al mare. C’era un ragazzo che giocava a football americano, una compagna la cui madre faceva tiro con l’arco. Alcune famiglie andavano persino a sciare».
Nessuna emozione per la chiusura di un percorso di studi così importante? «Sono felice di avere fatto quel percorso e oggi non lo cambierei con niente al mondo – afferma Soriga –. Però a quel tempo non la vivevo affatto in questo modo. Per andare a scuola facevo due chilometri a piedi per prendere il treno, poi l’autobus, poi trascorrevo la mia giornata a scuola, a volte col tempo pieno, altre col tempo ridotto. E alla fine me ne tornavo a Uta. Mentre, che so, magari i miei compagni andavano al Jazzino, o in qualche altro posto molto frequentato tipico delle città. Insomma, alla fine io non vedevo l’ora che la scuola finisse e che tutta quella storia finisse. Non parliamo del greco: mentre la letteratura greca mi piaceva, lo studio della lingua per me era veramente astruso e per tutta la vita ho continuato a fare un sogno tremendo: di essere interrogato in greco, con i paradigmi e tutta quella roba là». «La maturità fu dunque l’atto finale – conclude Flavio Soriga –, gli ultimi metri di una corsa che per me rappresentava la fuga da una specie di prigionia».