La Nuova Sardegna

Intervista

Autonomia differenziata, il costituzionalista Omar Chessa: «Un premio per chi è già più ricco»

di Massimo Sechi
Autonomia differenziata, il costituzionalista Omar Chessa: «Un premio per chi è già più ricco»

Le forti perplessità del docente dell'Università di Sassari

20 giugno 2024
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Sassari «Chi già ora ha più risorse proveniente dal gettito fiscale sarà avvantaggiato. Si creerà una competizione tra le regioni che farà venire meno la solidarietà che sta alla base del nostro ordinamento. Il costituzionalista Omar Chessa, docente dell’università di Sassari, esprime tutte le sue perplessità a proposito dell’autonomia differenziata.

Il Ddl Calderoli si applicherà anche alla Sardegna?

«Parrebbe di sì. Le norme transitorie e finali del testo approvato estendono anche alle regioni speciali la possibilità di addivenire a forme di autonomia differenziata. Non mi pare una grande conquista».

Perché?

«Anzitutto perché le regioni speciali sono già autonomie differenziate e non è detto che alla Sardegna convenga veramente spingere sul rafforzamento di quel modello».

Vuole forse dire che alla Sardegna non conviene avere più funzioni e quindi più risorse?

«È del tutto inutile disporre di più risorse se poi rimangono nel cassetto, non spese o spese male. Ma c’è di più: l’equazione “più competenze, più risorse” funziona veramente solo per le regioni ricche, che hanno un’elevata capacità fiscale per abitante e che per questa ragione generano un gettito erariale superiore alla spesa pubblica che poi ricade sui loro territori. È a loro che conviene il regionalismo differenziato, perché è la via per trattenere una quantità maggiore di risorse finanziarie nei territori che le generano. Invece le regioni povere, il cui gettito fiscale è inferiore al costo dei servizi pubblici, non hanno, come si dice, un “residuo fiscale”, e pertanto hanno bisogno di perequazione e di trasferimenti di solidarietà anche per finanziare le competenze di cui dispongono attualmente».

La legge Calderoli, dunque, non scioglie il nodo delle risorse?

«Direi di no. Anzi, contribuisce a imbrogliarlo di più. Infatti, l’art. 5 della Legge Calderoli dispone che le modalità di finanziamento delle funzioni attribuite consistano di “compartecipazioni al gettito di uno o più tributi erariali maturato nel territorio regionale”».

Detto con parole semplici?

«Significa che una regione potrà avere più competenze solo se ha un gettito erariale in grado di coprirne il costo. Ma è evidente che se il gettito rimane in larga parte nella regione che lo genera, sarà sottratto dal novero delle risorse da trasferire alle regioni povere a titolo di solidarietà. È il classico gioco a somma zero, in cui il guadagno di uno è perfettamente bilanciato dalla perdita dell’altro».

Insomma, ognuno per sé…

«È proprio questo lo spirito di fondo del regionalismo differenziato, per come inteso nella Legge Calderoli. Si accentua la dinamica competitiva tra le regioni (e non solo) e si allentano i vincoli di solidarietà tra territori forti e deboli, con il rischio che si inneschino derive centrifughe difficilmente controllabili. Quelli che già corrono veloci viaggeranno ancora più spediti, e quelli lenti diventeranno lentissimi. Che ne sarà dell’unità della Repubblica?».

Si è detto, però, che ciò che mette a repentaglio la coesione interna della Repubblica è proprio la “lentezza” delle regioni meno efficienti…

«Se non tutti viaggiano alla stessa velocità è semplicistico e fuorviante asserire che la responsabilità sia di coloro che vanno meno veloci (e che pertanto si debbano liberare i primi dalla zavorra dei secondi). Peraltro, la misurazione della presunta maggiore efficienza e dinamicità di alcune regioni è condotta sulla base di criteri e indici discutibili. Per esempio, la spesa pubblica pro-capite è più alta nelle regioni del Nord che non in quelle meridionali: pensate che ciò non incida sui livelli di efficienza?».

Ma allora di quale modello di regionalismo avrebbe bisogno la Sardegna?

«Avrebbe bisogno di un regionalismo in cui le regioni fanno fronte comune quando si negozia con lo Stato l’entità delle risorse da lasciare alle autonomie territoriali e non di un sistema in cui ogni regione negozia per sé, “a tu per tu” con il Governo nazionale. Insomma, avrebbe bisogno di un regionalismo più cooperativo e meno competitivo».

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