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Sanità

«Il Cup va abolito: gli appuntamenti li fissino i medici»

di Luigi Soriga
«Il Cup va abolito: gli appuntamenti li fissino i medici»

La soluzione proposta da Gianpaolo Mameli: nel 1998 ha creato il primo centro unico di prenotazione in Sardegna

04 luglio 2024
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Sassari La prima soluzione per migliorare il cup è cancellare il cup. «Per come funziona adesso, ha poco senso. Dovrebbe organizzare le agende, occuparsi del back-office, ma gli appuntamenti e il front-office con gli utenti non devono essere più affar suo. Troppi errori, troppa confusione. Delle prenotazioni dovrebbero occuparsi esclusivamente i medici di base al primo accesso e successivamente gli specialisti che prendono in carico i reparti».

Gianpaolo Mameli, 70 anni, ne ha dedicato oltre venti della sua vita professionale alla gestione delle liste d’attesa. Nel 1998 ha creato il primo Cup in Sardegna, dal 2008 ha fatto parte del Coordinamento Regionale per il Governo delle liste d’attesa e dal 2014 al 2019 è stato il referente della Regione Sardegna presso il Ministero della Sanità sempre per la gestione delle liste d’attesa. Ora è in pensione, ma resta uno dei maggiori esperti nell’isola sulle strategie di abbattimento dei tempi d’attesa per le visite o gli accertamenti diagnostici.

I responsabili dei cup sostengono che il nodo del problema sia questo: soprattutto a Sassari la domanda di prestazioni supera di gran lunga l’offerta. Il cup lavora sulle disponibilità, e di più non può fare.

«Aumentare le disponibilità, assumendo medici, allargando gli orari di erogazione, non servirebbe a niente. Come un cane che si morde la coda: all’aumentare dell’offerta, in modo automatico, aumenta ancora la domanda. Prima di potenziare il sistema e investire risorse, devi mettere delle regole e dei paletti. Bisogna agire in maniera molto più mirata».

In che modo?

«Il primo step, fondamentale, è la raccolta di dati certi, per avere un report delle risorse disponibili in tempo reale. Questo cruscotto informativo deve essere accessibile a tutte le figure apicali in ambito sanitario che devono governare le liste d’attesa (dal direttore del distretto sino all’assessore alla Sanità. Solo così si può fare una programmazione mirata dell’offerta».

Che tipo di dati andrebbero raccolti?

«Nel sistema devono essere inserite tutte le prescrizioni effettuate dai medici a qualsiasi livello (medici di base, pediatri di libera scelta, medici specialisti), in modo da avere in tempo reale le necessità per singole prestazioni, in ogni comune, distretto Asl e Regione. Non basta: un report di tutte le prestazioni prenotate di quelle eseguite e di quelle refertate, dati giornalieri, settimanali, mensili e annuali, sempre divise per ambiti territoriali (comuni, distretto, Asl e Regione). Necessario avere sempre l’elenco aggiornato di tutti i medici, infermieri e tecnici che erogano prestazioni specialistiche, ore di servizio, tempi necessari per una prestazione, ubicazione dell’ambulatorio, macchinari disponibili. Cosa fondamentale: tutte le agende devono essere sempre aperte, anche quelle delle strutture private in convenzione, in modo che sia facile avere i tempi d’attesa reali per singole classi (urgente, breve differita e programmata). Le agende chiuse invece inficiano le statistiche. Solo così posso capire quanti specialisti assumere, dove occorrono, oppure quante prestazioni richiedere in più a una clinica privata, o dove spostare un medico. Perché non ha senso fissare 1000 visite cardiologiche di pazienti sassaresi a Cagliari. Forse è più logico far lavorare un cardiologo in più a Sassari, insomma dislocare gli specialisti in base alle esigenze e alle carenze di un territorio».

Centinaia di lettori si lamentano di non poter prenotare non solo un esame programmato, ma talvolta anche urgente, per un sospetto tumore. Chi se lo può permettere si rivolge ai privati pagando di tasca propria. Chi non ha i soldi si fa il segno della croce.

«Per evitare queste assurde disparità le agende dovrebbero essere sempre costruite lasciando una percentuale di posti un pò più larga per le classi urgente e breve di quelli che ci danno le strutture sanitarie. In questo modo non capiterà mai più che chi ha ad esempio un sospetto tumore non faccia la visita entro 72 ore. Poi bisogna monitorare e aumentare la produttività delle prestazioni».

Quindi un tempo medio da rispettare per singolo esame o visita?

«Esattamente. E il tempario deve essere redatto a livello regionale. Non basta: anche i macchinari devono essere sfruttati di più. Se ho una risonanza costosa e di ultima generazione, che ha un tempo di vita di 6 anni, devo farla lavorare anche h 24. In altre regioni gli esami li fanno anche alle 3 di notte. Occorre naturalmente assumere personale da far ruotare in tre turni».

Le aziende sanitarie possono fare tutto lo sforzo possibile, ma poi c’è l’altro versante, quello dell’utenza, con le richieste improprie di esami, o con il così detto drop-out, cioè gli appuntamenti disertati dai pazienti, senza preavviso. Anche questo è un enorme problema.

«Per prima cosa è necessario un intervento di sensibilizzazione presso gli utenti al fine di non sollecitare i medici per eseguire prescrizioni non utili per una corretta diagnosi (spesso si fanno richieste apprese da internet). Poi sono fondamentali le sanzioni per chi brucia gli appuntamenti, togliendo inutilmente uno spazio a chi ne ha bisogno. In caso di indisposizione a effettuare una visita prenotata, i pazienti devono disdire subito, pena il pagamento della prestazione. Attualmente il fenomeno del drop-out si aggira intorno al 13% e se raffrontato ai dati del 2019 (mio ultimo anno di lavoro) su 6 milioni di visite specialistiche in Sardegna, si sono avute 780.000 visite perse. Uno spreco quantificabile in 80 milioni di euro. I medici prescrittori, oltre a rifiutarsi di assecondare le richieste degli utenti di prestazioni non utili per la diagnosi, devono abbandonare la medicina difensiva, utilizzata al fine di evitare possibili cause legali. Inoltre è necessario creare delle agende specifiche per la presa incarico dei pazienti cronici (oncologici, diabetici ecc.) e le agende riservate dovranno essere utilizzate in modo esclusivo per i controlli o per i pazienti già presi in carico».

Ultimo nodo da sciogliere, il gap 10 a 1 tra Cagliari e Sassari. Al sud dell’isola tante cliniche convenzionate, ospedali, macchinari e risorse finanziarie. Al nord il Mater Olbia, il Policlinico, Platamona, e qualche ambulatorio di analisi e studio di radiologia. Stop. Da qui la migrazione dei pazienti al sud per ottenere gli appuntamenti e le cure.

«Bisogna abbandonare una volta per tutte il criterio della spesa storica per l’attribuzione dei budget e delle risorse. La Regione deve ridistribuire i soldi e far sì che l’offerta sanitaria si potenzi lì dove ci sono le maggiori lacune. E in questo momento il territorio più in difficoltà è il nord dell’isola».

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