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Peste suina via dall’isola, Alessandro De Martini: «Eravamo i reietti, alla fine abbiamo vinto»

di Claudio Zoccheddu
Peste suina via dall’isola, Alessandro De Martini: «Eravamo i reietti, alla fine abbiamo vinto»

Il responsabile della prima “Unità di Progetto”: «Da Francesco Pigliaru e Luigi Arru sempre il massimo sostegno»

20 settembre 2024
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Sassari La loro azione aveva sollevato più di una polemica. Quando l’Unità di progetto voluta dalla Regione iniziò il suo cammino sembrava impossibile che, in quattro anni, potesse raggiungere un risultato inseguito da decenni, da quando il virus della peste suina africana fece la sua comparsa in Sardegna. Le polemiche, sostenute da una parte della politica, regionale e nazionale, maturarono in azioni deplorevoli.

Nel 2015, la misura era già colma e il glossario della violenza raccontava di distruzione o danneggiamenti alle automobili private e di servizio, alle case e agli uffici dei veterinari. Ci furono anche proiettili spediti a domicilio, candelotti al plastico o teste mozzate di animali sistemate all’ingresso di ambulatori e uffici. Un clima terribile che, per fortuna, non convinse quelli dell’Unità di progetto ad una dignitosa ritirata: «È vero, ci sono state minacce e intimidazioni, il clima non era sereno – ricorda Alessandro De Martini, responsabile della prima “Unità di Progetto” per l'eradicazione della Peste suina africana –. Ci attaccavano anche i parlamentari, alcuni venivano dal continente a farsi le foto con gli allevatori che non avevano capito il nostro lavoro. Eravamo reietti, ci dicevano che facevamo strage di poveri maialetti».

A dare una mano alla nascente Unità di progetto ci pensarono in due, quelli che la costituirono: «Abbiamo avuto sempre il massimo appoggio dal presidente della Regione, Francesco Pigliaru, e dall’assessore alla Sanità, Luigi Arru. E furono loro a convincere l’Unione europea della possibilità di eradicare la malattia proprio quando la Sardegna rischiava di essere commissariata dal ministro della Sanità».

Le cose andarono in maniera diversa ma la questione era complicata, per usare un eufemismo: «Nel 2014 la situazione era tremendamente compromessa – continua De Martini –. C’era stato un nuovo sviluppo di focolai nel 2012, poi nel 2013 e nel 2014 avevano 200 focolai, praticamente ne compariva uno al giorno». Nonostante tutto, l’Unità di progetto mosse i primi passi «Non avevamo la formula magica, solo idee e tanta buona volontà – continua De Martini –. La Psa non era solo un problema sanitario o una cosa che si poteva risolvere con la repressione. Dovevamo riorganizzare il sistema, dovevamo spiegare le nostre mosse e dovevamo liberare i sindaci dall’obbligo di fare le ordinanze di abbattimento».

Poi, quando era chiara l’unica via d’uscita, cioè l’abbattimento controllato dei capi infetti, le difficoltà non diminuirono: «L’unità di progetto ci ha consentito di prendere posizioni non ortodosse. Avevamo il coraggio un po’ folle di opporci al ministero e di opporci a Bruxelles quando volevano vietare la caccia. Era chiaro che la risposta corretta fosse l’opposto. Dovevamo costruire un rapporto con i cacciatori, che poi ci ha consentito di avere un monitoraggio continuo del virus, oltre che diminuire i contagi. Il problema era che la Psa aveva un serbatoio che doveva essere aggredito e affrontato. La diffusione del virus è estremamente facile ma era anche facilmente limitabile. Dovevamo spigare l’azione alle persone, e in questo ci hanno aiutato i giornali, affrontare il problema dell’allevamento dei capi allo stato brado l’uomo e regolamentare la caccia, rendendo i cacciatori compartecipi di una situazione che rischiava compromettere anche la loro attività».

Il responsabile scientifico dell’Unità di progetto era Alberto Laddomada: «Ci è voluto più tempo per cancellare l’embargo che per eradicare il virus – dice –. Ricordo che, arrivando come responsabile della salute animale della Commissione europea, mi dicevano che ero un euroburocrate».

Superati i primi ostacoli, l’Unità di progetto individuò subito la strada giusta: «La strategia è stata orientata sul problema a 360°. Non solo per gli aspetti tecnici ma anche per i risvolti economici e sociali. Abbiamo valutato gli animali bradi, i cinghiali, l’impatto sugli allevamenti suinicoli, familiari e commerciali. Questa è stata la scelta vincente. E poi l’appoggio della politica, fondamentale e continuo. Ma in Sardegna era facile è un’isola. Con la diffusione del virus in tutta Europa, la situazione è più complicata».

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