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Gli insegnanti: «Stipendi inadeguati: in Italia i più bassi d’Europa»

di Andrea Sini
Gli insegnanti: «Stipendi inadeguati: in Italia i più bassi d’Europa»

La media è di 31.950 euro lordi contro quella dei colleghi tedeschi, pari a 47mila. I sindacati: «Il governo dovrebbe investire seriamente sul loro ruolo»

14 ottobre 2024
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Sassari Visto da dietro a una cattedra, il mondo è in continua evoluzione e anche la didattica deve stare al passo coi tempi. Ciò che resta immobile, quasi cristallizzato, è il compenso che lo Stato paga agli insegnanti italiani. Che sono ultimi in Europa nella graduatoria degli stipendi e che, con l’inflazione che continua a erodere il potere d’acquisto, scivolano sempre più in basso anche nella scala sociale.

Le cifre La media dei salari italiani, ferma al 2019, è di 31.950 euro lordi, ben inferiore alla media Ocse (42.300) e lontana anni luce da quella dei colleghi tedeschi, che arrivano a superare quota 47 mila euro. A seguire, Francia con 37mila euro e Spagna con 33mila. Significa che mediamente a fine mese agli insegnanti vengono accreditati poco più di 2mila euro lordi. Solo l’anzianità di servizio garantisce stipendi più dignitosi: dopo trent’anni di lavoro un docente può arrivare a percepire dai 30 ai 35 mila euro netti, quindi dai 2500 ai 2900 euro al mese.

La trattativa Le parti sociali sono attualmente in stato d’agitazione: per il rinnovo del contratto di lavoro 2022-2024 le cifre proposte dal governo non sono ritenute soddisfacenti. Sul piatto è stato messo un aumento pari a una media di circa 137 euro lordi, che corrisponde al 5,78% rispetto alla cifra attuale. Troppo poco, replica il mondo della scuole, se si considera che l’inflazione è al 17,3%.

I sindacati «L’ultimo aumento, che risale ormai a 5 anni fa, ha portato ai docenti poco più di 50 euro lordi e in pratica non è cambiato nulla, anche a causa dell’inflazione– spiega Alessandro Cherchi, segretario regionale di Uil Scuola –. Serve un impegno maggiore da parte del governo, partendo dal fatto che la scuola deve restare fuori dal patto di stabilità, al pari della sanità. Invece questo settore, che conta un milione di buste paga, continua a essere considerato un comparto sul quale fare dei tagli». Cherchi sottolinea poi un altro aspetto, non meno importante. «Il mondo del lavoro è cambiato e con questo anche il riconoscimento professionale. Nel corso degli anni si è deteriorato sempre più il riconoscimento sociale degli insegnanti. Se ci pensiamo, è un passaggio culturale devastante: oggi tutto è ancorato al dio denaro e anche questo fatto contribuisce a svilire l’immagine e la figura del docente. Eppure si tratta di figure che rivestono ruoli di grande responsabilità, il loro lavoro in molti casi è alla base della creazione della futura classe dirigente. Il riconoscimento sociale passa anche dall’adeguamento degli stipendi».

C’è poi il tema del precariato. «Ancora oggi un insegnante su quattro è precario. E la cosa non mi pare casuale, dato che gli insegnanti che non sono di ruolo restano ancorati allo stipendio base, non possono fare carriera e dunque guadagnare di più. Insomma – conclude il segretario di Uil Scuola – è una situazione che i vari governi non hanno mai avuto fretta di risolvere, pagare poco gli insegnanti tutto sommato fa comodo».

«La situazione è d’emergenza m a purtroppo non ha niente di straordinario – rincara la dose Annalisa Porcu della Flc-Cgil di Sassari –. Siamo pronti a mobilitarci e a scioperare perché le risposte del governo per il momento sono state tutt’altr oche soddisfacenti. Gli stipendi degli insegnanti sono assolutamente inadeguati al tasso di inflazione, con una perdita del potere d’acquisto che si aggira sui 300 euro. Nell’ultimo contratto siglato, per avere un aumento di 140 euro lordi abbiamo avuto una contrattazione durata quasi due anni. E ora andiamo a discutere il contratto per un periodo già di fatto scaduto, ovvero il 2022-2024. Il mancato riconoscimento sociale degli insegnanti arriva da lontano ed è legata sia agli stipendi inadeguati che al ruolo irrilevante che la politica attribuisce ormai da troppo tempo ai docenti. E ora, più che mai, questo ruolo si avvicina a quello dei burocrati».

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