La Nuova Sardegna

Il caso

Stefano Dal Corso, morto in carcere a Oristano: «Potrebbe essere stato strangolato»

Armida Decina legale di Stefano Dal Corso
Armida Decina legale di Stefano Dal Corso

Il risultato dell’autopsia, eseguita con estremo ritardo, rende l’ipotesi del suicidio sempre meno probabile agli occhi della famiglia, che infatti si oppone a una nuova richiesta di archiviazione da parte della magistratura

23 ottobre 2024
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Roma I pochi elementi accertati, considerato il tempo passato dalla morte, e i punti oscuri nella vicenda della morte di Stefano Dal Corso sono stati illustrati in una conferenza stampa a Montecitorio. La sorella del ragazzo romano morto in cella ad Oristano nell’ottobre 2022, sostenuta in questa battaglia per la verità da Ilaria Cucchi, Roberto Giachetti e Rita Bernardini e assistita dall’avvocato Armida Decina, annuncia l’opposizione alla nuova richiesta di archiviazione sul caso.

«Al Ministro Nordio - ha detto - voglio sottolineare quanto non sia affatto palese la causa suicidaria della morte di Stefano. Chiedo analisi approfondite e risposte a lesioni riscontrate sul corpo che farebbero pensare a dei calci». A chiarire i riscontri ottenuti dall’esame autoptico, è l’avvocato Armida Decina che rappresenta la famiglia della vittima: «Dopo 7 dinieghi, finalmente il 12 gennaio scorso é stato conferito l’incarico peritale a un pool di medici legali per fare l’autopsia sul corpo di Stefano. È stata un’autopsia difficile, il corpo seppur ben conservato era chiaramente in uno stato di putrefazione e deterioramento. Sono stati soprattutto i consulenti del pm che, facendo leva sul troppo tempo passato dalla morte all’autopsia, parlano di una poca genuinità dei risultati che avremmo potuto avere. La prima cosa che viene riscontrata e scritta nero su bianco è che è sbagliato dire che la causa del decesso di Stefano sia stata la rottura dell’osso del collo, che era invece integro».

«Poi si è passati all’analisi esterna del corpo, che non presenta fratture visibili, nono sono state trovate nemmeno fratture interne ma, nel sangue di Stefano sono state trovate delle sostanze che dicono contenute dal piano terapeutico che Stefano doveva seguire. Tutti gli elementi, pochi, che è stato possibile analizzare, permettono di distinguere un impiccamento tipico, atipico o strangolamento - spiega il legale –. Il primo è quello quando il corpo non poggia i piedi a terra, atipico quando o parte del corpo poggia i piedi su una superficie, o il corpo è poggiato interamente a terra: gli elementi riscontrati a seguito dell’autopsia permettono di rilevare elementi che possono essere compatibili tanto con l’impiccamento atipico che con lo strangolamento, considerato che Stefano, quando è stato trovato senza vita nella sua cella, aveva un piede poggiato sulla superficie del letto».

«A distanza di tutto questo tempo, purtroppo, i polmoni erano completamente putrefatti e non è stato possibile analizzarli. Se Stefano fosse stato strangolato, ci sarebbe stata una compromissione dei polmoni che sarebbero andati in sofferenza: un dato, però, che avremmo potuto avere nell’immediatezza, non un anno e tre mesi dopo la morte. Un altro elemento è il ritrovamento, sul lenzuolo, di tracce ematiche e del profilo di Stefano ma anche di altro o altri profili di dna dei quali però non si sa a chi appartengono. Ho quindi chiesto alla Procura una comparazione dei dna rinvenuti sul lenzuolo intorno al collo di Stefano con i dna che quel giorno erano entrati in contatto con il lenzuolo. A questa istanza non ho mai ricevuto risposta e anzi il 9 ottobre è arrivata la seconda richiesta di archiviazione, cui faremo opposizione».

«Ci ritroviamo ancora una volta a parlare di giustizia negata – è intervenuta Ilaria Cucchi, sorella di Stefano morto in carcere 15 anni fa –. Il carcere oggi è ridotto in condizioni peggiori che mai. Per me garantire l’esecuzione dell’autopsia tutela non solo le vittime ma anche le istituzioni stesse, ma questa è una cosa che non si vuole capire, come non si capisce quando si discute di bodycam, pensando sia una battaglia nostra contro le forze dell’ordine e le istituzioni. A febbraio scorso è stato presentato un disegno di legge per l’introduzione dell’obbligatorietà dell’autopsia in caso di morte sospetta in carcere e nei giorni di scorsi è stato assegnato alla commissione giustizia del Senato».

«Si è deciso scientificamente in questo di non fare l’autopsia nonostante le istanze – è infine intervenuto Roberto Giachetti –. La polizia penitenziaria sventa suicidi, altri agiscono in modo non corretto ed è interesse dello Stato verificare se qualcuno si è comportato correttamente e, in caso contrario, procedere con pene non esemplari, dovute».

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