Elezione Trump, Giommaria Pinna: «Export sardo a forte rischio, i dazi sarebbero un disastro»
Giommaria Pinna: «Timori fondati per le politiche protezionistiche»
Sassari Formaggi e vini che prendono il mare dalla Sardegna diretti agli Stati Uniti. Esportazioni per un valore di oltre 100 milioni di euro, che nel mare magnum del mercato statunitense potranno anche essere poca roba, ma che per le aziende della nostra isola hanno un peso significativo. Il mercato a stelle e strisce rappresenta infatti uno dei primi sbocchi internazionale per i prodotti sardi, insieme a Francia, Spagna e Germania.
C’è un grande punto interrogativo, all’indomani dell’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Usa, a proposito del futuro delle esportazioni sarde Oltreoceano. Si tratta di dubbi legati alla “passione” di Trump per le politiche protezionistiche. Che si traducono in dazi doganari e hanno l’effetto di far alzare i prezzi dei prodotti, penalizzandoli sul mercato rispetto alla concorrenza locale.
«Le elezioni sono appena terminate, ancora ovviamente non è successo nulla, ma la preoccupazione per i dazi doganari c’è – conferma Giommaria Pinna, amministratore del caseificio Fratelli Pinna di Thiesi –. Nel suo primo mandato Trump aveva imposto dazi doganali sulle importazioni dall’estero e chiaramente in questi mesi insieme agli operatori del settore caesario abbiamo discusso di questa prospettiva, che viene vista come un rischio concreto. Per noi quello degli Stati Uniti è il mercato più importante e la prospettiva di trovarci sul groppone un sovraccosto pesante è abbastanza preoccupante. C’è comunque da dire che la volta precedente il pecorino romano venne per qualche ragione escluso dalle merci sulle quali andava applicato il dazio, a differenza di formaggi vaccini come il Parmigiano e il Grana, che forse vengono visti come potenziale concorrenza rispetto alle produzioni locali. Mentre il Romano rappresenta una nicchia nel mercato americano, per quanto per noi i volumi siano importanti. Quindi ora staremo alla finestra per carcare di capire cosa potrà accadere».
L’ulteriore pericolo riguarda la cosiddetta quota massima. «Oltre al dazio, c’è la possibilità che venga imposto un tetto alla quantità di merce che viene importata – conferma Pinna –. Tutto questo arriva in un momento nel quale il mercato si è sviluppato in maniera sensibile. Dal 2019, l’anno della protesta dei pastori, si è registrato un aumento costante del prezzo del Pecorino Romano, un aumento che per certi versi è stato immaginabile. Al momento della protesta il latte era a 65 centesimial litro e il prezzo del formaggio 5 euro al chilo all’ingrosso. A inizio 2024 siamo arrivati a 14 euro, ora siamo a 12, ma sono prezzi più alti e remunerativi per tutti. Più in generale, direi che l’Europa è di fronte a un bivio, perché dovrà fare delle scelte e senza l’ombrello di protezione degli Usa dovrà aumentare gli investimenti in armamenti, penalizzando il welfare. Questo impoverirebbe ulteriormente i consumatori. Insomma, un po’ di preoccupazione c’è».
«Confermo quanto detto alla vigilia del voto – dice invece Gianni Maoddi, presidente del Consorzio di tutela del Pecorino Romano –. Ci siamo già passati durante la fase 1 di Donald Trump, e per fortuna in quel caso il pecorino Romano se l’è scampata. Mi auguro che le decisioni assunte ora siano analoghe e che, nel caso vengano reinseriti i dazi, i nostri prodotti restino esclusi. Sicuramente non possiamo vivere con questa preoccupazione e dunque andremo avanti, considerando step by step quali decisioni adottare».
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