La Nuova Sardegna

L’intervista

Carlo Cabula: «Sul Businco da Bartolazzi parole ingenerose per i medici di un ospedale ora trascurato»

di Andrea Massidda
Carlo Cabula: «Sul Businco da Bartolazzi parole ingenerose per i medici di un ospedale ora trascurato»

L’ex direttore del reparto di Chirurgia oncologica replica all’assessore regionale alla Sanità

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Cagliari «Trovo quanto meno ingeneroso affermare che l’ospedale Businco sia un ologramma invece che un vero centro di diagnosi e cura perle patologie oncologiche. E per di più rincarare la dose sostenendo che i sardi insieme ai calabresi sono gli unici in Italia a non poter contare sui un centro di riferimento contro il cancro, aggiungendo inoltre che manca il dialogo con la rete nazionale. Ingeneroso, sì. Specialmente nei confronti dei medici e degli infermieri che lì ci lavorano con grande professionalità e impegno. Poi, è chiaro, questo non significa che in quel presidio sanitario non ci siano dei problemi da risolvere, ma è un altro discorso e tutto ciò non è certo imputabile al personale». Mentre ascolta le parole pronunciate ieri mattina dall’assessore alla Sanità Armando Bartolazzi nell’aula del consiglio regionale, Carlo Cabula, sino a un anno fa direttore del reparto di Chirurgia oncologica e Senologia proprio al Businco di Cagliari, si mostra piuttosto basito. Lui che da colleghi e pazienti è sempre stato considerato un’eccellenza di cui andare fieri (vale la pena di ricordare che nel 2001, cioè in piena pandemia, la sua unità è stata la prima in Italia come numero di interventi per tumore al seno), ma è anche referente regionale di Senonetwork (la rete che porta avanti la battaglia per l'istituzione delle Breast unit), e ancora è rappresentante in Sardegna dell’Anisc (l’Associazione nazionale italiana senologi chirurghi) non riesce a credere alle sue orecchie. Ma seppure sia evidente che quelle frasi non gli sono andate giù preferisce trincerarsi dietro il più britannico dei «no comment».

Tuttavia Cabula non rinuncia a dire la sua sulla situazione del luogo in cui ha lavorato per tantissimi anni. «Parlando del mio campo specialistico – racconta – al Businco c’è indubbiamente una dicotomia tra le capacità degli operatori e dei professionisti chirurghi e i problemi organizzativi di un presidio nato nel 1972 e per il quale non sono maistate previste importanti opere di ristrutturazione e in generale non è stato protetto come avrebbe meritato». Cabula fa un esempio: «A luglio 2015, quando l’Oncologico è passato dall’Asl di Cagliari all’Azienda ospedaliera Brotzu, tra Businco e il San Michele c’erano tre unità che si occupavano di chirurgia senologica: in totale venivano eseguiti 750 interventi al seno all’anno, eravamo la settima unità senologica in Italia, posizionati ben prima di altre strutture rinomate a livello nazionale. Tra i motivi di questo successo c’era anche il fatto che noi chirurghi avevamo accesso a 96 ore di sala operatoria alla settimana. Si lavorava nel pieno rispetto dei requisiti previsti dalla società scientifiche europee sia per quanto riguarda le prestazioni sia per quanto riguarda i tempi previsti per gli interventi, che non superavano i 30 giorni. Poi è iniziato il depauperamento con una drastica riduzione degli spazi chirurgici sino al minimo di 30 ore alla settimana. E infatti, manco a dirlo, nel 2023 il numero degli interventi è sceso a 450». Solo un esempio. Perché al Businco si è anche molto patito il turn over con una conseguente e inesorabile mancanza di personale.

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