La Provincia blinda l’ingresso dell’ExQ
Svanisce con un muro il sogno di un centro sociale autogestito nel cuore della città: l’edificio è inserito tra i beni alienabili
SASSARI. Per il collettivo che l’ha occupato nel 2010 era il luogo perfetto dove allestire un centro sociale e culturale capace di attrarre le menti più estrose della città: mostre, concerti, dibattiti e sale lettura per dare sfogo a ogni energia creativa. Da ieri, però, tra questo ambizioso progetto coltivato da alcuni sassaresi e l’edificio che un tempo ospitava la questura c’è un muro fatto erigere dall’amministrazione provinciale. L’unico sistema, a quanto pare, per evitare con certezza ulteriori “invasioni” della struttura dopo lo sgombero più o meno concordato eseguito ad agosto. Svanisce così il sogno di una fabbrica della creatività. Ma a ben vedere naufraga - e stavolta per mancanza di fondi - anche il progetto iniziale della Provincia, che aveva pensato di trasformare il palazzo di via Coppino in un centro in grado di accogliere l’ostello per gli studenti dell’Alberghiero e le sedi delle varie associazioni di volontariato cittadine.
Ora l’ingresso del palazzo che dopo l’occupazione era stato ribattezzato “ExQ” appare letteralmente blindato da blocchi di cemento. A ricordare ciò che è stato rimangono soltanto, come fossero reperti stratificati, le vecchie insegne della polizia di Stato e i graffiti in stile metropolitano di qualche writer locale.
Poi restano le polemiche, soprattutto su Facebook: da una parte c’è chi parla di «operazione vergognosa» e di «tristezza» per un’occasione perduta, dall’altra c’è chi attribuisce le colpe del fallimento ai gruppi che autogestivano l’edificio.
Chissà. Ciò che è certo, tuttavia, è che ora come ora il centralissimo palazzo di via Coppino compare nell’elenco dei beni alienabili dalla Provincia e che già all’indomani dell’occupazione il dirigente del settore Patrimonio aveva necessariamente dovuto presentare un esposto alle forze dell’ordine per via delle responsabilità penali che ricadevano comunque sull’ente di piazza d’Italia. Immediatamente dopo era partita un’indagine della procura della Repubblica, che aveva portato anche a identificare chi frequentava quei locali. I quali - va ricordato - era stati dismessi perché fatiscenti e dunque pericolosi.
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